Giornalismo evangelico nell’era della post-verità. Due voci europee
L’era della post-verità ha cambiato il modo di fare giornalismo? Come sono cambiate le notizie e il modo di darle? Esiste una responsabilità cristiana nel modo di pensare al giornalismo che possa aiutare a navigare anche in questi tempi di incertezza informativa?
A queste domande hanno provato a rispondere Jenny Taylor e Lars Dahle in un podcast recentemente pubblicato su Evangelical Focus. Taylor è una giornalista britannica, autrice e fondatrice di Lapido Media, un’organizzazione nata con l’obiettivo di aiutare i media a comprendere e trattare adeguatamente il fattore religioso nelle notizie, mentre Dahle è un teologo norvegese da anni impegnato con il Movimento di Losanna nel promuovere l’impegno evangelico nei media.
La conversazione è nata sullo sfondo dei recenti gravi avvenimenti che hanno sconvolto la BBC. Due importanti dirigenti di una delle più famose emittenti televisive, infatti, hanno rassegnato le dimissioni dopo uno scandalo legato alla manipolazione delle notizie.
L’episodio che ha assunto più rilevanza è quello di un documentario montato ad hoc e trasmesso in un programma a larga diffusione in cui un discorso di Donald Trump sarebbe stato manipolato cambiandone il significato.
Taylor è partita dalla sua esperienza personale per raccontare la crisi di un sistema. Per anni ha lavorato come giornalista di successo lontana dalla fede e molto radicata nelle sue idee progressiste. Ha creduto di lottare per libertà e diritti di tutti fino a che la sua vita personale e professionale non sono state messe sempre di più in discussione. Da una profonda crisi di valori è arrivata alla fede in Cristo Gesù.
La sua conversione ha generato un cambiamento radicale anche nel modo di svolgere la sua professione. Ha cominciato ad avvertire il bisogno di essere una voce profetica in questo campo raccontando storie vere, storie che mettessero in discussione i propri bias politici e culturali.
Secondo Taylor, infatti, è questo il punto debole del giornalismo attuale. L’incapacità di mettere in discussione i propri bias, la volontà di veicolare notizie in maniera interessata e faziosa. La polarizzazione politica, che ormai caratterizza il mondo occidentale, rendono il mondo dei media e il giornalismo un campo di battaglia senza esclusione di colpi. Ogni notizia può essere sferrata come un’arma letale nei confronti del “nemico”.
Nel mondo contemporaneo, l’idea di un giornalismo neutrale è ormai superata. È comunemente accettata l’idea che ogni testata, ogni giornalista, ogni trasmissione, abbia una sua visione del mondo che in qualche modo trasmette.
Nonostante questo sia professionalmente accettabile, la linea sottile dell’imparzialità non dovrebbe essere mai travalicata. Manipolare la realtà per farla aderire alla propria visione del mondo è molto diverso dal provare a trasmetterla in maniera veritiera.
Una delle radici profonde di questa faziosità della comunicazione sempre più evidente è il completo scollamento dall’idea che esista una verità esterna ed oggettiva. Il cristianesimo ha avuto un ruolo nella nascita del giornalismo, ne ha plasmato i valori di base e il suo essere servizio pubblico.
La cultura cristiana per secoli ha veicolato l’idea che esistesse una verità oggettiva, altra da noi, che può essere conosciuta e a cui ci si deve sottomettere. Secondo Taylor, il giornalismo nasceva proprio con l’idea che i fatti vadano scoperti, non inventati, e che il compito del giornalista sia di ascoltare, investigare e mettere in luce ciò che accade realmente. Eppure, questi valori di base sono ormai in crisi e vacillano.
L’allontanamento dal senso morale e dalla ricerca di una verità oggettiva non può fare altro che portare a crisi istituzionali, comunicative, politiche… La vicenda della BBC è la punta di un iceberg molto più radicato e profondo. In questo caso è la cultura progressista ad aver mostrato la sua capacità manipolatoria per diffondere la propria ideologia.
Questo non significa che la soluzione sta nel rivolgersi a media conservatori che, dal lato opposto, mostrificano in maniera manipolatoria i propri oppositori.
Taylor invita più che altro a riscoprire il giornalismo come vocazione, alla possibilità di essere professionisti con una voce profetica, ad essere una voce fuori dal coro che si ponga al servizio della società. Raccontare storie e riportare notizie con verità è fondamentale per un giornalista evangelico.
Per quanto possa sembrare scontato, in questo momento storico, voci affidabili, veritiere e coraggiosamente non polarizzate servono al giornalismo e al mondo dei media. Porterebbero nuova linfa ad un sistema in crisi e fragile.
Sulla stessa linea d’onda si pone Evert van Vlastuin, direttore di CNEnews e giornalista evangelico olandese. Van Vlastuin ha recentemente pubblicato un piccolo libro sul giornalismo evangelico dal titolo Reporting from the Tree. Il lavoro di reportage di un giornalista, infatti, deve essere visto in maniera integrata come la vita di un albero. Un articolo, un reportage, un prodotto mediatico sono solo i frutti di un albero la cui vita parte dalle radici.
Ogni persona ha le sue credenze e valori di base che modellano la propria visione del mondo. Dalla visione del mondo arrivano i valori sui quali ci si schiera e le decisioni per la vita quotidiana conseguenti. Il prodotto finale non può che rispecchiare le radici e il tronco sul quale è costituito.
Partendo da questo presupposto è chiaro che un giornalista evangelico deve alimentare la conoscenza della propria fede, costruire basi per una visione cristiana del mondo solida che possa trasformarsi in un frutto di impegno vocazionale e di voce profetica autorevole.