Il protestantesimo di Paolo Ricca. Manca un pezzo però
E’ passato poco meno di un anno dalla scomparsa di Paolo Ricca (1936-2024), forse il più conosciuto teologo protestante italiano a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo secolo. Valdese e intellettuale europeo, Ricca ha vissuto come testimone e protagonista la stagione barthiana e poi quella ecumenica della teologia protestante. Un’occasione per tornare sulla sua figura è data dalla pubblicazione del volume Un protestante italiano. Fede, ecumenismo e identità nel pensiero di Paolo Ricca, a cura di F. Ferrario e B. Ravasi, Torino, Claudiana 2025. Esso raccoglie alcuni scritti di Ricca sull’identità protestante e va a arricchire la già ampia serie di “libri di Paolo Ricca” che la Claudiana aveva iniziato a pubblicare ben prima della sua morte.
Bisogna riconoscere che l’abilità narrativa ed argomentativa di Ricca sono affascinanti. In poche pagine, il teologo valdese riesce ad intrecciare in modo accattivante un ventaglio di considerazioni teologiche, storiche e culturali. Il saggio non è storiografico, ma può essere considerato una meditazione sapienziale sulle ragioni e sui problemi del protestantesimo, dal XVI secolo sino ad ora.
Ricca ha lavorato su questo saggio fino agli ultimi giorni di vita, segno che si trattava per lui di uno scritto in cui depositare la riflessione matura di una vita intera. Ogni protestante italiano sa che nel nostro Paese la fede evangelica è largamente sconosciuta o soggetta a caricature deformanti. Ricca vuole fornire una sorta di apologia ecumenica del protestantesimo.
Apologia perché ne difende la matrice cristiana contro le etichette che lo bollavano come “eretico” e contro le letture secolarizzate che lo vedono come irrilevante; ecumenica perché il protestantesimo di Ricca si pensa come appartenente al mosaico plurale e pacificato del cristianesimo, insieme ad altre tessere (come il cattolicesimo e l’ortodossia).
Nella visione di Ricca (peraltro non originale su questo punto), il protestantesimo sarebbe una trascrizione storica del cristianesimo paolino con l’insistenza sulla giustificazione per fede e le comunità collegate in rete, mentre quello cattolico romano dipenderebbe dal modello gerosolimitano della chiesa delle origini con una struttura gerarchica e il ruolo prominente degli apostoli.
Ricca fa suoi i sette “princìpi del protestantesimo” suggeriti da Paul Tillich in cui rileva l’alterità di Dio rispetto ad ogni rappresentazione ecclesiastica, dottrinale, morale e politica, una visione non sacralizzata, quindi laica, del mondo, ma semmai religiosa, cioè impregnata di interrogativi ultimi.
Molto efficaci sono le pagine sul rapporto sfaccettato tra protestantesimo e movimento valdese e tra protestantesimo e anabattismo. L’atteggiamento persecutorio del primo nei confronti di quest’ultimo è, per Ricca, “un motivo permanente di umiliazione e vergogna” (81). Dense sono anche le considerazioni sulla relazione tra protestantesimo e umanesimo cristiano scolpita nello scontro tra Erasmo e Lutero sul libero/servo arbitrio.
Si tratta di due mondi spirituali affini e distanti allo stesso tempo. Bella è la frase che riassume la diatriba (dalla parte di Lutero): “per essere libera, la volontà umana dev’essere liberata. Può esserlo solo nel dialogo con la Parola di Dio” (98).
Nel capitolo su protestantesimo e modernità Ricca parla di “linee di continuità” (importanza della coscienza individuale, superamento della supremazia del potere religioso su quello politico, spinta verso il parlamentarismo democratico, impulso dato alla società borghese) e di “fratture profonde” (la Riforma fu teocentrica, la modernità antropocentrica; la Riforma predica che Dio libera l’uomo, la modernità vuole che l’uomo si liberi di Dio).
Giustamente Ricca fa risalire il contributo all’affermazione del pluralismo religioso e alla separazione tra stato e chiesa al puritanesimo “dissidente” (battista), più che al protestantesimo delle chiese continentali di popolo.
In anni recenti, uno storico cattolico come Brad Gregory (nel libro Gli imprevisti della Riforma. Come una rivoluzione religiosa ha secolarizzato la società, Milano, Vita e Pensiero 2014) ha attribuito alla Riforma le cause della secolarizzazione miscredente e anti-cristiana dell’Occidente. Ovviamente si tratta di un’analisi superficiale che fa di tutta l’erba un fascio. A questo proposito, nemmeno quella di Ricca aiuta a capire sino in fondo lo snodo critico tra protestantesimo e modernità.
Mentre riconosce alcune linee di rottura, Ricca non mette a fuoco la realtà che, a confronto con la modernità illuminista e romantica, il protestantesimo si è spaccato: da un lato, il protestantesimo storico che ha tutto sommato assecondato le pretese ideologiche della modernità, mentre quello evangelicale le ha contestate. I “risvegli” evangelici di qua e di là dell’Atlantico sono state le risposte evangeliche all’assuefazione protestante alla modernità.
Il Fondamentalismo d’inizio Novecento è stato lo scontro tra la religione “moderna” sposata dal protestantesimo storico e la fede evangelica che ribadisce l’ispirazione della Scrittura, la realtà dei miracoli e della resurrezione, l’esclusività di Cristo per la salvezza. Quello evangelicale è un protestantesimo trasversale alle denominazioni e che rivendica una continuità con i contenuti della fede protestante classica che il protestantesimo storico ha allentato sino a perderli.
Di questa componente del protestantesimo (peraltro maggioritaria nel mondo), nella ricostruzione di Ricca non c’è traccia. Dunque, nel quadro dipinto con maestria dal teologo valdese, manca un pezzo importante: l’evangelicalismo. In altre parole, manca il riconoscimento del fatto che, a confronto con la modernità, il protestantesimo si è biforcato.
Certo, esso mantiene tanti tratti denominazionali ereditati dal passato, ma la novità dell’ultimo secolo è che tutte le famiglie protestanti: dagli anglicani ai metodisti, dai battisti ai presbiteriani, dai luterani ai pentecostali, sono “divisi” tra protestanti storici ed evangelicali. I primi sono a loro agio con gli esiti ideologici della modernità (approccio storico-critico alla Scrittura, rarefazione degli impegni dottrinali, pluralità di stili di vita, accettazione delle altre religioni) e gli altri mantengono il primato della Scrittura sulla vita e la fede in Cristo come discrimine per la salvezza.
Da questo occhio cieco di Ricca dipende anche la sua lettura del protestantesimo ecumenico. Per Ricca tutto il protestantesimo contemporaneo è sceso a patti ecumenici col cattolicesimo romano e ha accettato di sedersi al tavolo comune che comprende anche le altre religioni. Non risulta che sia così: forse è il caso del protestantesimo storico (a cui Ricca appartiene), ma la gran parte dei movimenti evangelici del Sud e del Nord del mondo mantiene una postura distante dal cattolicesimo e dall’ecumenismo istituzionale.
In conclusione, l’affresco di Ricca sul protestantesimo è ricco di figure, colori e forme. Tuttavia è un dipinto monco che non restituisce un quadro teologicamente realista del protestantesimo contemporaneo.