“La luce in fondo al tunnel”. Come il sociologo della società liquida è stato folgorato dal papa

 
 

“Lei è la luce in fondo al tunnel”. Così il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925-2017) si è rivolto a papa Francesco in occasione del loro incontro ad Assisi nel 2016 a margine di un’iniziativa di Sant’Egidio per la pace. Nel colloquio con Francesco, Bauman ha affermato: “Ho lavorato tutta la vita per rendere l’umanità un posto più ospitale. Sono arrivato a 91 anni e ne ho viste di false partenze, fino a diventare pessimista. Grazie, perché lei è per me la luce alla fine del tunnel”. 

Di questo incontro e della relazione intellettuale a distanza tra i due parla il libro di Zeger Polhuijs, Zygmunt Bauman and Pope Francis in Dialogue: the Labyrinth of Liquid Modernity, Lanham, Fortress Academic 2022, presentato alla sede romana della Australian Catholic University il 28/11.

Si tratta di un episodio che mostra una tendenza interessante e diffusa nella cultura contemporanea: come gli intellettuali post-marxisti, delusi dai fallimenti delle ideologie e preoccupati dalle esplosioni della frammentazione del mondo, trovano in papa Francesco una figura che, col suo messaggio di misericordia, inclusione e fraternità, infonde speranza nel grigiore generale. Con tutte le differenze dei casi, in Italia simili fascinazioni verso il papa sono espresse da personalità come Fausto Bertinotti e Carlo Petrini.

Tornando al libro di Polhuijs, esso mette in evidenza come, nella sua disamina dei mali del mondo contemporaneo, Francesco usi il linguaggio di Bauman e, viceversa, le analisi del sociologo siano sovrapponibili a quelle del papa. Esiste tra loro un certo parallelismo. Bauman, agnostico, ebreo, post-marxista, è attratto dal pensiero cattolicamente “aperto” e concreto di Francesco e dalla “trascendenza” della fraternità umana da lui presentata. In esso vede stigmatizzato il pericolo della globalizzazione dell’indifferenza, che è un effetto della società liquida, disancorata dai valori tradizionali e che ha perso ogni accezione di prossimità. L’antidoto alla liquidità non è una nostalgica e definitivamente persa solidità (Francesco la chiamerebbe “indietrismo”, “clericalismo”, “proselitismo”), ma la solidarietà tra tutti: credenti e non credenti o diversamente credenti. Per Bauman, Francesco incarna questo: non una voce religiosa reazionaria che dice di tornare indietro alla società tradizionale o alla chiesa cattolica, ma un incoraggiamento a collegarsi con tutti scoprendo la prossimità della solidarietà, indipendentemente dai credi, dagli impegni religiosi, dalle pratiche di vita degli uni o degli altri. “La luce in fondo al tunnel” è una nuova forma di umanesimo di cui Francesco sembra essere il campione.

Il punto che voglio sottolineare è questo. Nell’attrazione di Bauman a Francesco, non interessa Dio: il sociologo è rimasto agnostico e non si è convertito al cattolicesimo o alla fede cristiana. A lui interessava la società e la sua degradazione, per la quale le ricette dell’ideologia caldeggiate in gioventù si erano rivelate fallimentari. D’altra parte, Francesco non lo ha sfidato a credere in Dio, così come non pone i suoi interlocutori di fronte allo “schiaffo” della metanoia: il papa incoraggia a sentirsi “fratelli tutti”, ad accogliersi reciprocamente, a considerare la fraternità la sorgente di trascendenza, lasciando che ognuno regoli a suo modo il rapporto con Dio, qualora sia interessato.

Questa “cattolicità” piace alla cultura post-marxista che, da essere anti-religiosa e atea, è ora diventata agnostica, magari indifferente al discorso su Dio, ma ancora appassionata agli ideali di umanità. Questo è il terreno di avvicinamento utilizzato dalla cattolicità di Francesco. Esso rende il papa una figura “popolare” agli occhi della cultura progressista: orizzontalizza la trascendenza, esalta la fraternità, incoraggia la prossimità. E’ questa la vera luce in fondo al tunnel?