Le “lettere luterane” di Pasolini. Cosa voleva dire?

 
 

Il titolo mi ha sempre affascinato. Perché Pier Paolo Pasolini (1922-1975) ha intitolato Lettere luterane l’ultima raccolta postuma di articoli pubblicati sul Corriere e sul Mondo? Perché questo riferimento a Lutero? C’era in Pasolini un interesse per la Riforma? In che senso voleva associare i suoi scritti all’aggettivo “luterano”? L’occasione del centenario della nascita dello scrittore è allora propizia per rifarsela e per cercare di dare una risposta. 

Intanto bisogna dire che Pasolini, nella sua controversa storia personale fatta anche di devianze e stili di vita discutibili, aveva comunque mostrato un’attenzione alla figura di Gesù quando, dopo aver letto il primo vangelo canonico ed esserne stato colpito, diresse il film Il Vangelo secondo Matteo (1964). A seconda di molti critici, quel film, girato nelle vicinanze di Matera con attori scelti tra le comparse, è tra i migliori tentativi cinematografici di raccontare la vita di Gesù.

In realtà, nel volume di Lettere luterane, di luterano sembra esserci poco, almeno nel senso stretto della parola. Intanto, solo la terza parte della raccolta è intitolata così. Nello specifico, c’è una sola lettera che è connotata come tale. Si tratta della “Lettera luterana” a Italo Calvino, in cui Pasolini associa il silenzio dei conformisti acquiescenti all’essere cattolico e il coraggio di chi denuncia la stagnazione al carattere “luterano”. Nessun cenno ai contenuti del messaggio biblico riscoperto da Lutero, né alle risultanti ecclesiali e culturali della Riforma protestante. Per Pasolini, “luterano” ha un’accezione di denunciante, provocatorio, dissacrante, insomma di bastian contrario che invece di accodarsi al coro della maggioranza ha la temerarietà di svelare l’ipocrisia e di ribaltare il banco. 

Pasolini sembra usare il termine “luterano” nel significato di “protestante”, anche se quest’ultimo sostantivo non è preso nel suo significato letterale: pro-testare, testimoniare a favore della verità dell’evangelo, ma nel suo significato oppositivo: testimoniare contro qualcuno. “Luterano” è per Pasolini chi si scaglia contro qualcuno. In lui non c’è traccia di un’alternativa luterana, dunque evangelica, alla cultura malata del catto-comunismo che è diventato parte del sistema. Luterano ha solo un senso “destruens”, niente di “construens”.

Nella cultura italiana contemporanea che attraversa la crisi del Sessantotto, Pasolini trova nel vago riferimento a Lutero un modo per esprimere la protesta contro il conformismo borghese di fronte alla società dei consumi che sta deturpando i tratti popolari della società. Non avendo più riferimenti interni, va a prendere il richiamo a Lutero come un elemento estraneo che, da fuori, può esprimere una critica pungente.  

In fondo, ma senza nessuna pretesa di precisione filologica, in Pasolini sembra esserci un’idea della Riforma derivata dalla storiografia marxista italiana che aveva dipinto l’“eresia” come un anelito di anticonformismo contro il potere costituito, senza valorizzarne (e senza capirne) la dottrina evangelica della riscoperta della Parola di Dio e della salvezza in Cristo soltanto. Dagli Eretici italiani del Cinquecento (1939) di Delio Cantimori in poi, la Riforma in Italia è stata letta da questa scuola come un fenomeno (parziale e poi assorbito) di irrequietezza culturale e di inquietudine esistenziale. 

Con questa idea di Riforma in mente, un intellettuale come Pasolini ha potuto denominare come “lettera luterana” una voce di protesta, un sasso nello stagno dalle acque altrimenti immobili, un suono di gong nel silenzio assordante del conformismo dilagante. Niente di più, purtroppo. Pasolini si è limitato a retro-proiettare su Lutero un’interpretazione riduttiva, lacunosa e, in fondo, sbagliata, della Riforma. Ricordando il genio irrequieto Pasolini nel centenario della sua nascita, la cultura italiana aspetta ancora una vera e propria “lettera luterana” che pro-testi a favore della verità dell’evangelo e contro gli idoli della cultura religiosa e laica dominante. Al di là del nome che ha usato, Pasolini non l’ha scritta.