“Nel mezzo del cammin di nostra vita” (I): richiami biblici all’inizio della Commedia di Dante

 
nel mezzo del cammin di nostra vita I
 

In occasione del 700 anniversario della morte di Dante Alighieri (1265-1321), iniziamo una breve serie di articoli per saggiare la presenza della Bibbia (tramite riferimenti espliciti o indiretti) nella Divina Commedia. Come Dante fu condotto nel suo viaggio da Virgilio e poi da Beatrice, così io mi farò condurre da Giuseppe Ledda, La Bibbia di Dante, Torino, Claudiana 2015, perché da solo sicuramente mi perderei nella “selva oscura”. 

Sono circa un migliaio i richiami alla Bibbia presenti nella Commedia. Alcune volte si tratta di citazioni del testo biblico (dalla Vulgata latina o in traduzione in volgare), altre volte di evocazioni di personaggi o episodi della storia biblica, altre volte ancora di allusioni ad essi intrecciati nel poema. Si può dire che la Bibbia sia pervasivamente presente e costituisca uno dei testi da cui Dante ha tratto molta ispirazione essendo un elemento costitutivo del suo immaginario religioso.

L’incipit della Commedia è universalmente conosciuto: “Nel mezzo del cammin di nostra vita ..”. Da subito Dante richiama un testo biblico quale il Salmo 90,10. Il fatto che non parli solo della sua (di Dante) vita ma della “nostra” (di tutta l’umanità) si collega al verso del salmo di Mosè secondo cui “i giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni”. Per questo gli studiosi ritengono che Dante abbia avuto 35 anni quando ha scritto la Commedia. Dai primi versi si parla della vita come di un “cammino”. Quella del viaggio, del cammino, del percorso è una metafora biblica per descrivere la vita. 

Al di là di questi riferimenti indiretti, nell’incipit c’è una chiara allusione, quasi una rielaborazione, di Isaia 38,10 in cui il re Ezechia, dopo essere stato guarito, scrive: “Al declino dei miei giorni devo andarmene alle porte del soggiorno dei morti”. Come Ezechia scampò la morte potendo continuare a vivere, così Dante passa per una “selva oscura” ma ne esce quando si trova davanti a un colle illuminato.

Dante aveva smarrito la “diritta via”. Dentro la metafora del cammino, la “via” ha fortissime risonanze nell’Antico Testamento (es. la via dei giusti: Salmo 1) e nel Nuovo Testamento (Gesù è l’unica vita, Giovanni 14,6). Nei primi versi Dante riconosce di aver perso la via e di essersi cacciato in una selva oscura, nel peccato e nel traviamento. Giunto davanti al colle illuminato (Inferno I,16-18), guarda in alto, echeggiando il Salmo 120,1 che dice “Io alzo gli occhi ai monti, da dove mi verrà l’aiuto?”. Il gesto di guardare in alto è l’inizio di un cambiamento in mezzo alla prova vissuta. Guardando in alto, l’uomo può trovare la luce di Dio per uscire dalle tenebre del peccato.  

Iniziando la salita al colle, il cammino di Dante è interrotto dalla presenza di tre animali feroci: una lonza, un leone e una lupa (I,31-54). Per il poeta sono rappresentazione del male che ostruiscono il cammino cercando di impedirlo. Non nello stesso ordine, ma sono gli stessi animali che si trovano in Geremia 5,6 (se la lonza di Dante può essere assimilata al leopardo di Geremia). Dante attribuisce a questi animali un significato simbolico di vizi capitali, ma l’immaginario da cui attingere la rappresentazione gli viene dalla Bibbia.

Ostacolato dalle fiere, Dante rotola in basso e vede una figura dai contorni indistinti a cui chiede aiuto con le parole “Miserere di me” (I,65). Il lettore della Bibbia riconosce immediatamente la citazione del Salmo 51,1: “Abbi pietà di me, o Dio”, il salmo penitenziale più celebre della raccolta. E’ il grido del peccatore che, compunto nel cuore e contrito di pentimento, invoca la misericordia divina per essere perdonato. La stessa citazione del Salmo 51 Dante la ripeterà in Paradiso XXXII,10-12). Davide che esclama quella richiesta di aiuto diventa per Dante un modello di peccatore pentito a cui ispirarsi nel suo cammino di peccatore penitente.

Come si evince da questi accenni, l’immaginario di Dante è densamente popolato da elementi biblici. Se la sua visione complessiva sia biblica è un altro discorso: sicuramente essa è intrisa di biblicismi diretti e indiretti, ma ciò non è una garanzia che il suo poema rispecchi un viaggio biblicamente orientato.