Perché litighiamo sui social? Uno studio su Nature

 
 

Prendete un gruppo di persone e mettetelo in una stanza. Se tra di loro c’è qualcuno che ha voglia di litigare inizierà a farlo, provocando gli altri con commenti spiacevoli. Se questa stanza non è fisica, ma è online, ed è un social, potete stare certi che la lite ci sarà, continuerà e coinvolgerà a diversi livelli tutti i presenti. Qui nasce una domanda; il "problema" sono coloro che frequentano i social, oppure l'algoritmo che li gestisce? A chi dare la colpa?

A questa domanda ha cercato di rispondere uno studio pubblicato su Nature (20/3/2024) coordinato da Walter Quattrociocchi, ordinario di Data Science and Complexity alla Sapienza di Roma. Il motivo di questo studio è nato dal fatto che, dopo tre anni di monitoraggio, si è notato una costanza della tossicità delle conversazioni online, ciò indipendentemente dal soggetto che si trattava e dal social che mediava gli scambi. Gli autori dello studio hanno analizzato 500 milioni di commenti pubblicati su otto piattaforme (Facebook, Gab, Reddit, Telegram, Twitter, Usenet, Voat e YouTube) nel corso di 34 anni. In sintesi: "L’ecosistema dei social ha una forte resilienza alla tossicità. Più durano gli scambi, più aumenta la possibilità del litigio".

Come spiega Quattrociocchi, è stato necessario allargare il campo d’analisi: "Studiando i social abbiamo trovano sempre le stesse cose e siamo giunti sempre alle stesse conclusioni. Era arrivato il momento di domandarci quale fosse il reale effetto degli algoritmi e quanto, invece, era la componente umana a governare certe dinamiche". La risposta è che: "la tossicità non era un deterrente al coinvolgimento degli utenti né un amplificatore del coinvolgimento. Piuttosto, tendeva a emergere quando gli scambi diventano più frequenti, ciò causava la polarizzazione delle opinioni".  

Quindi, anche quando qualcuno si lasciava andare con un commento "maleducato, irrispettoso o irragionevole che poteva indurre le persone ad abbandonare una discussione" (questa è la definizione di commento tossico dell’API Perspective di Google, lo strumento utilizzato nello studio), ciò non ha avuto un impatto sulla durata e le dimensioni della conversazione, né indotto gli altri ad abbandonare lo scambio.

In altre parole, anche in presenza di una comunicazione tossica dove cominciano ad apparire commenti pesanti, motivo per stroncare la conversazione, si va avanti comunque. Per i ricercatori della Sapienza di Roma, tutti questi elementi uniti alla persistente polarizzazione, sono un fattore predittivo che fanno immaginare le possibili ricadute sui risultati elettorali dei prossimi mesi in giro per il mondo.

I ricercatori si sono posti alcune domande: "Che fare per i prossimi 34 anni e oltre? Troveremo il modo di non metterci a discutere in qualsiasi gruppo o sotto qualsiasi post?". Nella pratica, dice lo studio, si tratta di prendere in considerazione anche altri fattori che possono influenzare la tossicità della conversazione "come l'argomento specifico" di cui si parla, "la presenza di utenti influenti", l'ora e il giorno in cui viene pubblicato il messaggio e aspetti culturali o demografici, come la ricerca dell'età media degli utenti o la posizione geografica. Anche se si allargasse il campo dell'indagine, "chi usa i social in fondo chiede attenzione, deve mostrare quello che è o che ha fatto, guai a chi lo contesta. Di conseguenza il giudizio o l'invidia innesca la competizione e la rissa".

Che dire? Temo che il problema non si risolva solo imparando a usare meglio i social. C’è un senso in cui non cambiamo. Se migliaia di anni fa le persone tiravano sassate e usavano la clava per dirimere le questioni, oggi usano una tastiera per aggredire e offendere gli altri! I mezzi sono diversi e più sofisticati ma, evidentemente, chi li usa non è molto diverso o più civile dei suoi antenati. Siamo così, non possiamo dare la colpa all'algoritmo. La presenza dell'algoritmo risale al 2008, ma questa ricerca ha dimostrato che la rissosità sui social era già presente nelle prime chat. L'algoritmo non ha cambiato nulla.

Non solo, nonostante l'avviso dell’API Perspective di Google che segnala la presenza della tossicità negli scambi in corso, l'aggressività non diminuisce! Certamente la profilazione dei dati che abbiamo lasciato in rete ha un forte potere di condizionamento, ma sarebbe ancora peggio pensare che siamo completamente in balia dell'algoritmo, e privi di una volontà propria. Questa è una foglia di fico che non può nascondere la realtà.

Questo studio non ha analizzato quello che succede off line, ma è plausibile pensare che le relazioni sociali dirette siano molto diverse da quelle on line? Nascosti dietro ad un monitor ci si sente più protetti e più liberi di dare sfogo ai propri pensieri, ma ciò non fa che mettere in luce quello che c'è nel cuore di ogni persona. Paradossalmente anche un insieme di chips sono stati in grado di mettere a nudo la vera condizione della natura umana. Strumenti progettati per favorire la comunicazione e la socializzazione fra le persone, sempre di più e in troppi casi, le hanno divise. L'altissima capacità della mente e della creatività umana si è scontrata con la sua vera natura che usa contro se stesso ciò che ha costruito.

Quanto sono vere le parole del Signore: "E' quello che esce dall'uomo che contamina l'uomo; perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini che escono cattivi pensieri... calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dal di dentro e contaminano l'uomo" (Marco 7,20-23). Nessuno sviluppo tecnologico ha il potere di cambiare questa condizione umana, l'unica possibilità ci viene presentata nel Vangelo.