Quando un prete pedofilo è considerato un martire. Dal podcast “La Confessione”

 
 

Non è il titolo di un fiction televisiva, né una invezione della più fervida fantasia, ma la tesi del vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, proposta a don Giuseppe Rugolo, prete pedofilo, che aveva cercato un aiuto dal suo vescovo, e che di nascosto ha registrato tutta la "consulenza pastorale". Tutta questa storia sta uscendo fuori grazie a una serie di podcast di 7 puntate La Confessione, realizzato da un team di giornalisti d'inchiesta come Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn (le registrazioni si possono ascoltare su Appunti di Stefano Feltri).

La tragica storia è questa. Antonio Messina è un ragazzo di Enna che per anni è stato abusato da don Rugolo, fin da quando era minorenne. Nel 2014 inizia a chiedere giustizia alle strutture ecclesiastiche, ma invano: la cosiddetta Investigatio Previa su don Giuseppe Rugolo, si è conclusa con l'assoluzione. Dieci anni dopo arriva la sentenza della magistratura ordinaria: il sacerdote di Enna viene condannato a 4 anni e 6 mesi per violenza e tentata violenza.

Nell'ascoltare dei brani mi sono chiesto se era tutta una montatura giornalistica, oppure una storia inventata per una serie su Netflix. Invece è la semplice verità: per la Chiesa cattolica la violenza sessuale su un minore non è punibile se a compierla non è un sacerdote ma un seminarista. Recentemente questa regola è cambiata, ma solo per i fatti commessi dopo il 2021. Per quelli commessi prima vale ancora uno dei perversi meccanismi con cui la chiesa ha tradizionalmente tutelato gli abusatori seriali annidati tra le sue fila.

Quindi, cosa succede se un fedele denuncia un abuso subito da un prete al proprio vescovo? Niente. Grazie solo al coraggio di Antonio Messina di denunciare, non una volta, ma per dieci lunghi anni gli abusi di don Giuseppe Rugolo, che si è arrivati alla condanna in primo grado del 5 marzo 2024. Il suo coraggio non è stato vano: sia perché Rugolo è stato condannato, sia perché grazie alla sua storia, questo team di giornalisti ha potuto scoprire come funziona il sistema.

La Confessione non racconta solo la storia di Antonio Messina e di don Giuseppe Rugolo. È la storia di Rosario Gisana, il vescovo ancora in carica della diocesi di piazza Armerina, che per anni sa e non fa nulla. Il suo unico obiettivo è stato quello tutelare don Rugolo, l’abusatore, ed evitare che Antonio, la vittima, continuasse a creare problemi! Per aiutare don Rugolo ha usato i fondi dell’otto per mille, lo ha mandato a Ferrara, dove ha continuato ad occuparsi di ragazzini, per tacitare Antonio Messina ha provato a proporgli 25.000 euro in contanti presi dalla Caritas.

È la storia di una diocesi dove tutti sanno tutto, dove, stando alle parole del vescovo, ci sono molti altri preti sospettati di aver commesso abusi, che però non subiscono conseguenze. È anche la storia di come tanta parte della chiesa condivide la “cultura” del vescovo Gisana: la diocesi di Ferrara accoglie Rugolo senza farsi troppe domande, prova a proteggerlo quando esce la notizia dell’inchiesta, altri vescovi vengono contattati da Gisana, la Conferenza episcopale italiana del cardinale Matteo Zuppi non ha niente da dire sulla vicenda.

Ma è anche la storia di papa Francesco che aveva tutti gli elementi per sapere cosa aveva fatto il vescovo Gisana. Anche Francesco ha ascoltato le intercettazioni di Gisana che dice: “Ho insabbiato questa storia” (si può sentire nel podcast). Invece di rimuoverlo per dare un esempio, lo elogia pubblicamente proprio il giorno prima dell’udienza decisiva del processo a don Rugolo. Mi chiedo che fine hanno fatto tutti i suoi proclami che avrebbe dato inizio della fase della trasparenza e della "pulizia interna".

Si può dire cinicamente "niente di nuovo sotto il sole". È vero. In Italia rimane anche un alone di omertà, reticenza e insabbiatura quando si affronta il tema degli abusi sessuali di preti ed ecclesiastici cattolici. Nel 2022 è uscito il Rapporto sugli abusi della CEI ma i numeri forniti sono parziali e le informazioni rese pubbliche sono lacunose.

In altri Paesi, i crimini degli abusi sono stati scoperchiati. In Italia ancora no. Tutto sembra ancora avvolto dalla volontà di non disturbare l’istituzione-chiesa cattolica. La storia resa nota da La Confessione mostra come la cultura della difesa dell’immagine e degli interessi della Chiesa cattolica prevalga ancora sul desiderio di verità e di giustizia per le vittime.