Roberto Bellarmino (1542-1621) e il confronto con Roma oggi (IV)

 
 

Per secoli, dalla fine del Concilio di Trento sino all’inizio del Novecento, il cattolicesimo romano ha trovato in Roberto Bellarmino (1542-1621) il suo principale apologeta nei confronti del cristianesimo evangelico della Riforma protestante. Il fine teologo gesuita prese le mosse dal Concilio di Trento per provare a minare le fondamenta della Riforma e per riaffermare il sistema dottrinale cattolico uscito dal Concilio. 

Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti di Roma. Soprattutto negli ultimi 70 anni il cattolicesimo si è “aggiornato” quanto alla sua postura nei confronti dell’ecumenismo. Da essere oppositivo, si è fatto inclusivo. Dall’essere respingente di tutto ciò che gli era esterno, si è fatto avvolgente. Dall’essere anti-protestante, ha provato a diventare una sorta di “cattolicesimo evangelico” (G. Weigel). Da essere considerati “eretici”, i protestanti sono ora considerati “fratelli ritrovati” (Giovanni Paolo II). 

Il Concilio Vaticano II (1962-1965) è stato il momento in cui Roma si è irrevocabilmente impegnata sulla strada dell’impegno ecumenico. Da allora sono fioriti dialoghi bilaterali, attestazioni di fraternità, riconoscimenti teologici. La “Dichiarazione congiunta sulla giustificazione” del 1999, firmata dalla Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, ha voluto mettere per iscritto il fatto che, secondo Roma, le istanze della Riforma non devono essere necessariamente respinte (come diceva Bellarmino), ma semmai inserite dentro una sintesi più ampia che le renda meno spigolose e più sinuose. 

Da Trento al Vaticano II e oltre, Roma ha modificato la sua apologetica nei confronti della fede evangelica. Come afferma Avery Dulles (cardinale convertito al cattolicesimo dal luteranesimo): “Quel Concilio (Trento) emise quella che resta l'autorevole affermazione della dottrina cattolica in risposta ai Riformatori. Ha fissato l'agenda per la generazione di Bellarmino più o meno allo stesso modo in cui il Vaticano II ha fissato l'agenda per la fine del ventesimo secolo”. Tuttavia, secondo Dulles “i teologi sono chiamati a rifare, in un contesto ampiamente mutato, qualcosa di analogo a quanto fece Bellarmino con notevole successo, per la prima età moderna”. 

In altre parole, Roma cerca un altro Bellarmino capace di “aggiornare” l’apologetica cattolica, cioè di adattarla alla nuova età “ecumenica” che non pensa più in termini di “controversie” ma in termini di “unità” ecumenica. Lo scopo non è più quello di dichiarare la Riforma “sbagliata”, ma di considerarla “esaurita”. La Riforma non va più contrastata, ma assorbita.

Bellarmino ha lavorato duramente nel contesto di una "battaglia" teologica in cui uno solo dei contendenti avrebbe potuto/dovuto sopravvivere spiritualmente: o il cattolicesimo o il protestantesimo. Per Bellarmino, l’alternativa era o Roma o la Riforma (aut-aut). Il nuovo Bellarmino cercherà di assorbire la Riforma offuscando le differenze teologiche (et-et) e di trovare il modo di innestare alcune enfasi protestanti nella struttura cattolica romana che ne accresceranno la cattolicità e manterranno la sua centralità romana.

Pur senza avere la statura teologica di Bellarmino, anche se come Bellarmino appartiene all’ordine dei gesuiti, si può dire che papa Francesco sia un esponente di questa nuova apologetica evocata da Dulles. Se Bellarmino polemizzava, smontava e menava fendenti teologici, Francesco afferma, abbraccia, apprezza, include gli evangelici. Mentre Bellarmino sottolineava l’importanza della disputa, Francesco non perde occasione di incoraggiare a camminare insieme senza perdere tempo in diatribe dottrinali. Il risultato sperato è di assorbire la fede evangelica dentro una comprensione di cristianesimo “poliedrica” in cui tutti sono fratelli e sorelle. 

Da parte evangelica, le migliori menti teologiche del movimento protestante si sono misurate con la sfida lanciata da Bellarmino: da Francesco Turrettini a Herman Bavinck, decine e decine di teologi evangelici hanno polemizzato con Bellarmino (quindi con Trento, quindi con il cattolicesimo romano), mentre oggi quasi nessun evangelico cerca di capire cosa abbia significato il Vaticano II per la strategia cattolica e cosa stia facendo Francesco per attuarla ai fini dell’assorbimento di tutto. Se Roma ha trovato un proprio Bellarmino ecumenico, chi nel movimento evangelico vuole continuare il lavoro di coloro che, nel corso dei secoli, hanno ritenuto che il cattolicesimo non fosse un alleato, ma il principale ostacolo allo sviluppo della testimonianza evangelica nel mondo?

(fine: sintesi rielaborata di una conferenza “Bellarmine against the Reformers” tenuta alla Westminster Conference il 1 dicembre 2020 e in corso di pubblicazione)