Se anche per il papa Roma è “terra di missione”

 
 

Che Roma sia “terra di missione” gli evangelici lo sanno da secoli. Non a caso, non appena si aprì la breccia di Porta Pia nel 1870, subito entrarono Bibbie e stampati cristiani per favorire l’evangelizzazione della città. A dispetto del suo essere considerata la culla del cristianesimo, Roma aveva conosciuto nel corso dei secoli un monopolio religioso gestito del cattolicesimo romano, ma non si può certamente dire che fosse una città evangelizzata. Molto religiosa sì, ma cristiana no. Per aver impedito la libera circolazione della Parola di Dio per secoli, Roma era terra di missione in senso evangelico. Per questa ragione, furono avviate attività di evangelizzazione e di fondazione di chiesa che proseguono ancora oggi. Secondo gli standard evangelici, Roma era ed è terra di missione.

Da allora, tanta acqua è passata sotto i ponti del Tevere. Oggi anche il papa cattolico dice che Roma è “terra di missione”. Incontrando il clero romano il 13 gennaio, Francesco ha detto proprio questo: il cuore della romanità, la sede del papato, il centro del cattolicesimo è “terra di missione”. Cosa vuol dire? Evidentemente, il fiato grosso della secolarizzazione, del disimpegno, dell’abbandono della pratica religiosa soffia sul collo della chiesa cattolica. Abituata per secoli ad imporre alle coscienze il proprio primato, ora che l’argomento di autorità e l’imposizione sociale delle abitudini non funzionano più automaticamente, anche il cattolicesimo a Roma è in crisi di numeri e di partecipazione. Le messe (con eccezioni) sono semideserte, le parrocchie (con eccezioni) sono magari frequentate per i servizi che offrono ai giovani o ai poveri, ma non certo luoghi di spiritualità. Gran parte della popolazione romana non è “attiva” nelle pratiche cattoliche.

Dunque, il papa, che è vescovo cattolico di Roma, dice che la città deve essere considerata alla stregua di una terra di missione da raggiungere con la “nuova evangelizzazione” da parte di una chiesa “in uscita”. Tutto a Roma parla della presenza consolidata e pervasiva della chiesa cattolica (palazzi, istituzioni, chiese, il Vaticano), ma essa comincia a percepirsi come una presenza bisognosa di affermarsi e non più solo chiamata a gestire una rendita di potere.

In realtà, quello che ha detto papa Francesco non è una cosa nuova. Già nel 1974 (cinquant’anni esatti fa), il card. Poletti, allora vicario del papa per la città di Roma, aveva affermato che Roma era una “terra di missione”. Allora fece scalpore che, dieci anni dopo aver celebrato i fasti del Concilio Vaticano II, la chiesa cominciava a vedere Roma non tanto come una città “nostra” ma come luogo da raggiungere.

Quando Francesco dice che Roma è “terra di missione”, bisogna vedere anche l’altra faccia della medaglia. Negli stessi giorni in cui affermava ciò, incontrava il Sindaco di Roma, Gualtieri, e il Presidente della Regione Lazio, Rocca (4 gennaio), cosa che non avviene per nessun’altra comunità di fede. Le due massime autorità politiche e amministrative della città non vanno generalmente “in udienza” a trovare i capi religiosi nelle loro sedi. Dal vescovo di Roma sì, e anche di frequente e sempre con atteggiamenti deferenti. Quattro giorni dopo (8 gennaio) il Presidente della CEI, card. Zuppi, firmava col Governo italiano l’assunzione di 6.500 insegnanti di religione (scelti dai vescovi cattolici, pagati dai contribuenti italiani). Anche questa non è una pratica da “terra di missione” ma di un Paese asservito ad una confessione religiosa, specchio di un privilegio ingiusto che non si vuole mettere in discussione. E poi, il 14 gennaio, l’affaccio del papa alla piazza San Pietro televisiva: un’ora di intervista quasi in ginocchio di Fabio Fazio a “Che tempo che fa” nel prime-time della domenica sera.

Ecco, Roma sarà pure “terra di missione”, ma il papa e la chiesa cattolica non mollano la presa sulla città e sull’Italia che è figlia di secoli di dominio incontrastato. Evidentemente, il papa sente la terra tremare sotto i piedi e si aggrappa alle rendite politiche-economiche-istituzionali-mediatiche del passato. Dice che vuol far missione, ma in realtà gestisce il potere.

Per gli evangelici, Roma era ed è terra di missione: bisognosa di essere evangelizzata da persone e chiese testimoni dell’evangelo. “Oro e argento non ho, ma quello che ho te lo do” diceva un vecchio cantico echeggiando le parole di Pietro allo zoppo (Atti 3,6): “nel nome di Gesù il Salvator, subito alzati e va’”. Questa è la missione evangelica della chiesa. Quella del papa è altra cosa.