“Un concilio per tutti i cristiani”?

 
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Un concilio per tutti i cristiani. E’ questa la sintesi di un’intervista rilasciata a Jesus (2021/1) da Paolo Ricca, teologo valdese e anima dell’ecumenismo del mondo protestante storico italiano degli ultimi 30 anni. La proposta lanciata da Ricca è di un concilio per tutti i cristiani in cui riannodare i fili che, nel corso della storia, si sono spezzati e di farlo in una modalità “sinodale” che riprende quella descritta in Atti cap. 15. Per Ricca nessuna chiesa è pienamente “cattolica” se non si apre alle altre. Essendo le chiese diverse per confessione, tradizione, ecc., e avendo elaborato le loro auto-comprensioni contro le altre o senza le altre, il recupero della cattolicità passerebbe dalla “diversità riconciliata”.

Dietro e dentro ognuna di queste parole ci sono mondi di significato costruiti in seno al movimento ecumenico degli ultimi 70 anni: dalla creazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (1948) passando per il Concilio Vaticano II (1962-1965) e arrivando all’attuale clima di “fratellanza universale” (che include in  realtà anche i non cristiani) che piace tanto a Papa Francesco. Dietro e dentro questa proposta c’è anche la conclusione della parabola ecumenica del protestantesimo storico italiano di cui Ricca è un esponente di spicco. Alla fine del secolo ecumenico (il XX) e all’inizio di quello della fratellanza globale (il XXI), è significativo che il protestantesimo storico arrivi ad augurarsi un “concilio” pan-cristiano in cui tutte le diversità (cattoliche, liberali, ortodosse e nelle miriadi di altre declinazioni intermedie) imparino a vivere in modo in apparenza riconciliato.

Niente di nuovo, in realtà. Sono almeno 25 anni che queste suggestioni sono la narrazione del protestantesimo storico italiano. Il documento “L’ecumenismo e il dialogo interreligioso” approvato dal Sinodo valdese nel 1998 (regnante Giovanni Paolo II a Roma) già conteneva tutti questi elementi: la fine della “carica propulsiva” e profetica della Riforma, l’addomesticamento protestante alla diplomazia ecumenica e al linguaggio “ecumenicamente corretto”, la sua accettazione delle strutture dogmatiche e istituzionali del cattolicesimo come compatibili all’unità, la riduzione della testimonianza evangelica ad un’istanza di responsabilità individuale e di rincorsa (vana) alla secolarizzazione galoppante. Naturalmente non erano questi i termini usati, ma il succo sì.

I padri e le madri della Riforma protestante e dei successivi Risvegli evangelici speravano e sognavano una “riforma” secondo l’evangelo su tutta la chiesa al fine di riscoprirne il cuore e di cambiarla in modo corrispondente. E’ vero: Lutero sperava in un “concilio” che facesse proprie le istanze dell’evangelo e riformasse la chiesa rispetto alle idolatrie introiettate. Al posto di quel concilio sognato da Lutero, si tenne il Concilio di Trento che sbatté la porta in faccia alla Riforma provando a integrarne alcuni temi dentro la cornice sacramentale e istituzionale di Roma. Nella sua storia moderna, Roma i suoi “concilii” li ha già celebrati: Trento (contro la Riforma), Vaticano I (per l’infallibilità del papa) e Vaticano II (abbracciando tutti senza cambiare niente). Senza l’evangelo al centro, l’ennesimo “concilio” evocato da Ricca sarebbe diverso?

Dentro i parametri dell’evangelo, nessuna chiesa locale o denominazionale può pensarsi senza e men che meno contro le altre. Dentro i parametri dell’evangelo, si può imparare a vivere in modo riconciliato le diversità. Dentro i parametri dell’evangelo, ci si può parlare e si può anche agire in modo concordato. In altre parole, la sinodalità ha senso solo se è evangelica. Non è un meccanismo ecumenico dentro cui tutti stanno come sono entrati senza essere passati dal crogiolo della conversione a Gesù Cristo secondo la sua Parola. L’unità è tra i figli e le figlie di Dio: i credenti riuniti in assemblee che ascoltano la Parola e rispondono ad essa nella guida dello Spirito Santo.

L’auspicio conciliare di Ricca, per quanto suggestivo, sembra stare fuori da questi parametri. Ieri come oggi, l’importante è che le chiese non siano diplomaticamente ecumeniche, ma biblicamente evangeliche.