Verso una “confederazione” europea? Tre domande sulla proposta di Enrico Letta

 
 

Si intitola “Un nuovo ordine europeo” l’articolo-manifesto che Enrico Letta ha pubblicato sul Foglio (11/4/2022) e che sta facendo discutere. E’ bene che sia così. Da decenni la riflessione sul futuro dell’Europa ristagna, prima a causa delle divisioni interne ai vari Paesi, poi in attesa della Brexit. Negli ultimi anni, le sfide davanti a tutti stanno mostrando come il dossier Europa debba essere ripreso in mano. Si pensi solo alla crescita globale della Cina in molti settori strategici, al fenomeno delle migrazioni che ha messo in crisi tutti e ora alla guerra in Ucraina nel cuore dell’Europa: come è possibile per ogni staterello europeo o per l’Unione europea attuale affrontare queste sfide senza essere sopraffatti?

Il merito dell’articolo di Letta è di essere concreto. In sostanza, propone una confederazione di Stati che, nell’ambito dell’Unione europea, condivida questi settori: politica estera, politiche comuni d’asilo, energia, difesa comune, stato sociale, salute. Nell’ambito della confederazione non vigerebbe più il principio dell’unanimità che, di fatto, blocca l’Unione europea, ma quello di maggioranza. La confederazione sarebbe aperta a tutti gli Stati che vorrebbero farne parte e sposterebbe in avanti la costruzione di un’Europa che, mantenendo le sue molteplici e innegabili diversità, riconosca altresì spazi crescenti di politiche comuni.

Ovviamente, per istituire la confederazione Letta è consapevole che sia necessaria una Convenzione che riveda i Trattati europei e costruisca l’architettura istituzionale della confederazione (si ricordi che già una volta i lavori della Convenzione europea furono bocciati da referendum in Francia e Paesi Bassi nel 2005). Il percorso è tutt’altro che scontato. Tuttavia, gli ultimi anni hanno mostrato come l’Unione europea così com’è congegnata è molto più spesso causa di frustrazione e d’impotenza che di soluzione ai problemi di tutti.

Si possono discutere alcuni aspetti della proposta di Letta. Mi limito a tre. Intanto, nel suo manifesto ci sono molti elementi di carattere politico, sociale, militare ed economico, ma manca il riferimento alle comunità di fede e al ruolo delle religioni nella costruzione europea. E’ come se Letta abbia “dimenticato” che gli europei sono principalmente esseri “religiosi” e che l’Europa non può avere futuro solo con la tecnocrazia secolarizzata. Il rischio di una proposta simile è di vedere la religione come dimensione privata della vita dei cittadini ed ininfluente nel loro vissuto pubblico. Se è così, l’Europa rimane zoppa. Le religioni non devono essere assolutizzate, ma nemmeno neglette.

Il secondo punto critico è di sottostimare l’importanza di ripensare ai legami europei della confederazione come ad un patto (foedus) tra cittadini e poi tra Stati. Il movimento verso la confederazione deve vedere favoriti i processi dal basso ed il coinvolgimento delle comunità ai vari livelli, piuttosto che pensarsi come un percorso dall’alto da parte di qualche politico “illuminato”. Il distacco dell’Europa dai cittadini e dalle comunità è uno dei vulnus della costruzione europea attuale. Come favorire questa cultura pattizia è una sfida aperta bisognosa di ampio dibattito e di iniziative mirate. La casa europea non si costruisce solo con pochi architetti, ma con tutte le maestranze. Senza cultura pattizia, essa rimarrà carta straccia. 

In terzo luogo, si comprende l’anima “socialista” del manifesto di Letta quando apre le competenze della futura confederazione allo stato sociale e alla salute. Siamo sicuri che questi due ambiti appartengano necessariamente al livello confederale o non debbano essere lasciati alla responsabilità esclusiva degli Stati membri? E se uno Stato europeo volesse organizzare il suo welfare diversamente rispetto al modello universalistico di matrice socialista? Sarebbe per questo impedito ad aderire alla confederazione?

Questi sono solo interrogativi da discutere, ma che nulla tolgono all’utilità dell’articolo di Letta che ha il pregio di aver riproposto in modo organico un tema ineludibile. Il futuro dell’Europa è al centro anche di una riflessione evangelica in corso e a macchia di leopardo, contrassegnata da spunti interessanti ma irretita ed incapace sin qui di farsi propositiva. La speranza è che anche nei circoli evangelici italiani ed europei si continui a macinare una cultura in grado non solo di enunciare principi di ordine vagamente spirituale, ma anche visioni d’Europa che si facciano carico di diventare contributi alla costruzione dell’Europa del futuro.