Walter Brueggemann (1933-2025), lo studioso inquieto dell’Antico Testamento

 
 

Autore di più di 100 libri di teologia e di critica biblica (alcuni dei quali pubblicati in italiano da Claudiana), Walter Brueggeman (1933-2025) è stato uno studioso americano dell’Antico Testamento che ha fatto sentire la sua voce anche fuori dal campo degli specialisti della materia. Un modo per fare i conti con la sua sterminata produzione è riproporre due recensioni ai suoi libri già apparse sulla rivista Studi di teologia nel corso degli anni. In esse si coglie l’animo inquieto dello studioso e la tendenza post-liberale della sua teologia. Brueggemann non era un evangelico, ma i suoi studi hanno attirato un’attenzione trasversale.



The Practice of Prophetic Imagination. Preaching an Emancipatory Word, Minneapolis, Fortress Press 2012, pp. 158.


Si parla molto della necessità che la predicazione sia “profetica”, ma cosa realmente si vuole dire? Talvolta, si ha l’impressione che ciò significa che l’annuncio dell’evangelo debba essere controcorrente o coraggioso o “strano”, insomma in controtendenza rispetto ai canoni culturali e religiosi prevalenti. L’A. è uno tra i più autorevoli (e creativi) studiosi dell’AT, nonché predicatore. Nei suoi studi mette sempre in rilievo il carattere spiazzante del testo biblico rispetto alle prassi interpretative consolidate. Più che consolare soltanto, la Bibbia decostruisce le false consolazioni e invita a fidarsi di Dio. Non sempre Brueggemann riesce però a rendere ragione dell’affidabilità del Dio biblico rispetto alla sua natura e alla sua parola. Per lui Dio è sempre imprevedibile, non confinabile nei nostri schemi, esondante i canoni religiosi. Eppure, Dio è un Dio d’alleanza, fedele al suo patto e alla parola data. Sicuramente è un Dio altro da noi che non rientra in schemi umani ristretti, ma non è nemmeno un Dio sfuggente e inafferrabile. Mentre la sottolineatura di Brueggemann sull’alterità di Dio aiuta a non farsi un Dio a propria immagine e somiglianza (la tentazione di cui ha lungamente parlato la critica alla religione di E. Feuerbach), non aiuta a fare i conti con la “prevedibilità” del Dio del patto che si è fatto conoscere nella Scrittura. Barthianamente, egli sottolinea la trascendenza di Dio, ma a spese della conoscibilità del Dio biblico.


Affinché la predicazione sia profetica, occorre capire che cosa siano stati i profeti d’Israele e in cosa si sia caratterizzato il loro messaggio. In sintesi, l’A. ricorda che i profeti erano armati della sola proclamazione che Dio è e Dio regna. Essi erano i “contestatori” della versione della maggioranza che fondava le proprie speranze sulla forza militare del regno o sulla stabilità dei propri clan famigliari. Come trasporre la carica profetica nella predicazione attuale è una sfida di immensa grandezza. Occorre, per Brueggemann, coltivare una “immaginazione” profetica che contrasti le narrazioni della vita che hanno seguito nell’opinione pubblica e proclami la realtà di un Dio vero e reale. Nel libro, l’A. fornisce alcuni esempi in cui traspone il messaggio profetico biblico al messaggio omiletico contemporaneo. L’A. ricorda che la predicazione profetica deve fare sempre i conti con la disperazione profetica. I profeti non erano “popolari”, ma rischiavano la vita per quello che dicevano. Una predicazione profetica deve calcolare anche il costo umano e spirituale di un annuncio che sarà colpito dalla critica dei benpensanti e dell’establishment culturale. Il libro ricorda la vocazione della predicazione di essere una voce che si situa tra la contestazione e il cambiamento: “contro” la cultura e per la “trasformazione” di essa.



Teologia dell'Antico Testamento. Testimonianza, dibattimento, perorazione, Brescia, Queriniana 2002, pp. 1011.


Nella transizione tra XX e XXI secolo, la teologia dell'AT sta vivendo dei cambiamenti significativi. Se le opere di W. Eichrodt e G. von Rad avevano consolidato l'approccio storico-critico del Novecento, ora quel consenso appare "instabile, se non sconvolto". Questa è la premessa di Brueggemann di cui, tra l'altro, è appena stato pubblicato un commentario alla Genesi (Torino, Claudiana 2002). Gli studi attuali sull'AT corrispondono al clima di "disordine" che si respira nelle tendenze culturali postmoderne. Secondo l'A., anche l'AT ha un carattere "disordinato" in quanto dà voce a una pluralità di affermazioni di fede, può essere avvicinato da una pluralità di metodi interpretativi (l'egemonia dell'approccio storico-critico è spiazzata), e viene letto da una pluralità di comunità interpretanti, ognuna delle quali è portatrice di particolarità proprie. Di fronte a questo "disordine" esterno all'AT e interno allo stesso, per l'A., sia il razionalismo del metodo storico-critico che la semplificazione del metodo canonico non sono adeguati. Alla ricerca di modelli che rendano conto di tale complessità, l'A. ricorre alla metafora e all'immagine del processo giudiziario. In altre parole, egli raccoglie i materiali dell'AT intorno a tre temi: testimonianza (asserzioni aperte al riesame e in conflitto con asserzioni contrarie), dibattimento (l'esame incrociato che porta alla verità) e perorazione (l'arringa a favore di una versione dei fatti). La teologia dell'AT può essere pensata all'interno di questa metafora in cui si confrontano più voci, più prospettive, più testimonianze di verità da interpretare, valutare ed esaminare in modo incrociato.


Dopo aver ricostruito i percorsi della teologia dell'AT con sguardo retrospettivo, l'A. si concentra sul nucleo della testimonianza d'Israele intorno a Yahweh per poi passare alle controtestimonianze sul nascondimento, le ambiguità e le negatività dello stesso Yahweh. Segue una sezione sui testimoni che sono partners di Dio (Israele, la persona umana, le nazioni, la creazione) e le mediazioni attraverso le quali la testimonianza si esprime (la Torah, il re, il profeta, il culto, il saggio). Chiude il corposo volume un capitolo sulle prospettive dell'interpretazione teologica dell'AT in relazione alla critica storica, al NT, alla tradizione giudaica e al tema della giustizia.


La trattazione è stimolante e contiene moltissimi spunti creativi e interessanti. Rimane, tuttavia, l'impressione che la critica dell'A. sia troppo dipendente da una prospettiva teologica: quella che riassume varie forme di teologia della liberazione. Che ne è, allora, del tanto decantato pluralismo? Da un lato, l'A. critica il metodo storico-critico e quello canonico per essere poco rispettosi del pluralismo ermeneutico. Dall'altro, la medesima critica può essere rivolta all'approccio dell'A. che si situa dentro una ben precisa cornice ideologica, sottovalutandone altre e giudicandole in modo severo. Si possono davvero eludere i presupposti teologici nell'interpretazione? 


In secondo luogo, l'A. spezza con troppa sufficienza l'unità teologica del canone e denuncia frettolosamente la sostenibilità dell'interpretazione cristiana dell'AT. È evidente che questi due punti non siano sulla sua agenda teologica; tuttavia, il fatto di non lo siano non è sufficiente per trattarli superficialmente, dando per scontato che non abbiano plausibilità.