Warfieldiana (II). Agostino e i suoi “due figli nel grembo”

 
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L’universo teologico, filosofico e culturale di Agostino è una materia difficilmente governabile. La realtà è che sono pochi coloro che possono ragionevolmente e sensatamente parlare di Agostino avendo letto in modo integrale (per non dire studiato) il suo pensiero in modo sufficiente da poterlo rappresentare nella sua ricchezza ed ampiezza. Consci di questa intrinseca complessità negli studi agostiniani, è importante affidarsi ad autorità nel campo teologico che siano affidabili e sulla cui scia collocarsi nel tentativo di fare i conti con l’imponenza di Agostino.

E’ a Benjamin Breckinridge Warfield (1851-1921) che bisogna guardare per avere una lettura teologicamente matura di Agostino in ottica evangelica. Gli scritti di Warfield su Agostino sono raccolti nel volume, Studies in Tertullian and Augustine, orig. 1930, Westport, Greenwood Press 1970. 

Warfield riconosce in Agostino la compresenza di più anime teologiche che lo rendono un teologo intrinsecamente complesso. Nell’analisi del teologo di Princeton, in Agostino è sicuramente presente il seme dal quale l’albero del cattolicesimo romano è nato (al punto da chiamarlo il “fondatore” del cattolicesimo), ma anche la linfa che ha nutrito alcuni movimenti anti-gerarchici e mistici del Medioevo in opposizione all’istituzione romana. Il pensiero di Agostino quindi è attraversato da correnti apparentemente contrastanti che danno luogo ad appropriazioni profondamente diverse di aspetti, temi ed enfasi della sua opera: dal blocco sacramentale-istituzionale tipico del cattolicesimo allo spiritualismo monastico. 

A ciò si aggiunga che, secondo Warfield, Agostino è anche il lievito da cui è cresciuta la pasta della Riforma protestante, costituendone la principale influenza patristica. Dunque, la sua teologia è innervata da una complessità intrinseca da cui possono risultare molteplici orientamenti. Quando ci si avvicina ad Agostino il rischio di unilateralità interpretativa o di riduttivismo ermeneutico è alto se ci si accontenta di misurarsi con un “pezzo” soltanto del suo pensiero. 

Per fare i conti con la complessità di Agostino, Warfield suggerisce una metafora brillante: “Due figli combattono nel grembo della sua mente: la sua dottrina della Chiesa che aveva ricevuto dai suoi predecessori e a cui lui diede precisione e vitalità tali da renderla stabile e la sua dottrina della grazia che gli apparteneva interamente”. La compresenza di questi due “figli”, entrambi legittimi nel pensiero di Agostino ma teologicamente estranei l’uno all’altro, risultò in un problema teologico profondo che ebbe bisogno di mille anni per trovare una soluzione. Per Warfield, l’ecclesiologia di Agostino è una figlia che lui ricevette per così dire in adozione dalle tendenze sacramentaliste, papiste ed imperiali già presenti nella patristica precedente e a cui lui diede ulteriore linfa; d’altro canto, “il figlio del suo cuore” è la dottrina della grazia, “il suo più grande contributo al pensiero cristiano”. 

Le ragioni che permisero la compresenza di questi figli così diversi sono da Warfield ricondotte alla brevità della sua vita (che non gli ha dato sufficiente tempo per risolvere le aporie), alle distrazioni continue derivanti da preoccupazioni diverse nella vita della chiesa (che gli hanno tolto la necessaria lucidità) e alla lentezza dello sviluppo del suo pensiero (che ha impedito che il conflitto sorgesse prima della sua morte). Tutto ciò determina una fragilità interna al pensiero di Agostino. E’ come se la struttura della sua teologia non fosse “completa”, anche se “ciò che ha costruito lo edificò per durare”.  

Fu la Riforma protestante del XVI secolo, un movimento di recupero e di rinascenza dell’agostinismo, che sciolse il conflitto tra l’ecclesiologia e la teologia della grazia a favore di quest’ultima. Infatti, secondo Warfield, con la Riforma si verificò “il trionfo finale della dottrina della grazia di Agostino sulla dottrina della chiesa di Agostino”. Il risveglio dell’agostinismo portò allo scioglimento dei nodi rimasti nel pensiero di Agostino e al superamento delle sue aporie. La Riforma fece emergere la dottrina della grazia quale cardine della teologia ricomprendendo l’ecclesiologia al suo interno e, così facendo, superando la romanità cattolica che su quella ecclesiologia aveva costruito il suo sistema istituzionale e sacramentale. Warfield può sostenere che “l’agostinianesimo della grazia rappresenta nel senso più autentico il vero Agostino. Non viene fatta nessuna ingiustizia alla veridicità storica quando parliamo di lui come un paolino dopo Paolo e un luterano prima di Lutero”. Non è allora forzato sostenere, con Warfield, che “il vero Agostino fu l’Agostino della dottrina della grazia”.