Dove sta andando il giornalismo? Spunti per l’informazione evangelica

 
 

Dal 12 novembre al 19 dicembre ho avuto l'opportunità di seguire il corso "Dieci lezioni di giornalismo" offerto dal Post. Il Post è un quotidiano online italiano fondato da Luca Sofri nel 2010. Il quotidiano dalla sua nascita vede una discreta crescita in lettori e in influenza. La forza del Post è quella di differenziarsi dagli altri quotidiani italiani adottando un modello di giornalismo apertamente anglosassone. L'idea è quella di dare le notizie in modo più tempestivo, accurato e leggibile possibile. È enfatizzato quindi l’utilizzo di un linguaggio asciutto e diretto con poche formule tipiche del giornalismo italiano. Le lezioni sono state tenute da diversi membri della redazione. Ogni giornalista ha parlato del campo di cui si occupa di più (tendenzialmente gli articoli non sono firmati in maniera personale).

Elenco delle dieci lezioni seguite: 

Prologo. Non è più il giornalismo di una volta con Luca Sofri

1. Cos’è una notizia, spiegato bene con Francesco Costa

2. Fonti e reporting con Isaia Invernizzi

3. La lingua delle cose raccontate bene con Luca Sofri

4. Il giornalismo attraverso le immagini con Alessia Mutti

5. Giornali e scienza in Italia: una relazione complicata con Emanuele Menietti e Beatrice Mautino

6. Un altro modo per raccontare le questioni di genere con Giulia Siviero

7. Il giornalismo politico con Valerio Valentini

8. Raccontare gli esteri con Eugenio Cau

9. Ci si può ancora informare sui social network? con Giulia Balducci

10. La cronaca giudiziaria nel giornalismo italiano con Stefano Nazzi

La redazione ha la sua base a Milano. Ho percepito una concezione diversa del giornalismo rispetto al mondo “romano”. I racconti di palazzo e gli intrighi della politica sono una parte minima del lavoro del Post. La politica viene trattata come un tema tra gli altri. Al contrario c’è molta attenzione per il giornale e la notizia come beni economici. 

Ovviamente si è parlato di un giornalismo che cambia e che non somiglia più in niente a quello che era stato fino a 20 /15 anni fa. Il Post stesso è un quotidiano solo online. Nonostante ciò, riscontra difficoltà ad attrarre lettori. Ecco alcuni spunti emersi e che possono essere interessanti anche per l’informazione evangelica.

1. L’informazione non è più un'attività che i lettori cercano in maniera attiva. La grande maggioranza degli utenti ha una dieta informativa che si basa sugli articoli che si presentano sui feed dei vari social.

2. Tantissimi utenti sono diffidenti rispetto all’informazione. Ognuno cerca di informarsi nelle sue bolle di appartenenza. In questo senso l’oggettività delle notizie non viene premiata. Sono in crescita testate (o progetti di informazione varia) che adottano un punto di vista specifico. Questo apre una porta per l’informazione dal punto di vista evangelico.


3. La pratica della lettura intrattiene pochissimi lettori. Tutti i giornali, quindi, stanno cercando di differenziare i loro prodotti. Sia per l’interesse economico di generare traffico sui siti (e quindi attrarre inserzionisti) che per l’effettivo obiettivo di avere lettori. Podcast e canali YouTube vanno per la maggiore. A dominare la scena in questo momento sono i video brevi. Anche testate come il Washington Post e il New York Times hanno i loro canali tik tok. 

4. Il rapporto con i social media è la parte dominante del giornalismo attuale. Aprire un sito, anche di eccellenza, senza rimbalzo sui social, ottiene riscontri pari a zero. Il rapporto con i social media è un tasto complicato. Le piattaforme sono, di fatto, aziende private sulle quali le testate non hanno alcuna influenza. I giornali sono quindi obbligati a seguirne i formati, le strutture e a volte anche i linguaggi. Il pericolo è o di snaturarsi per seguire i trend dei social o quello di non arrivare agli utenti. I social dove si concentra la ricezione e la ricerca di informazione sono: Facebook, Instagram, X e TikTok. 

I giornali sono quindi costantemente penalizzati dagli algoritmi che non propongono agli utenti i loro post. Il problema delle testate è anche quello di rimandare a siti e piattaforme esterne ai social. Questa pratica viene drasticamente penalizzata dagli algoritmi che tendono a premiare contenuti che fanno restare sui loro feed. 

La maggioranza delle persone dichiara di informarsi principalmente su questi due canali. X è in decadenza dopo l’acquisto da parte di Musk. TikTok è in piena ascesa. L’app cinese di mini-video è dove converge la maggioranza del traffico attuale. I micro-video sono l’altra grande fonte di informazione. Non si tratta di un fenomeno solo giovanile come era sembrato all’inizio. 

Nonostante il Post si dichiari neutro rispetto al campo politico, la sesta lezione è stata una nota stonata e apertamente schierata. Mentre poteva essere apprezzabile un approfondimento su come trattare le questioni di genere soprattutto legate ai femminicidi, la lezione è stata un concentrato di cultura woke. Quella che viene fatta passare per sensibilità su alcuni temi e conoscenza è praticamente un’imposizione di pensiero. Ogni altro punto di vista viene fatto passare per “cattivo giornalismo”.


Un paio di anni fa frequentai un corso di giornalismo evangelico. L’anno scorso, le Giornate teologiche dell’IFED su “Evangelici e media” hanno ulteriormente incoraggiato un impegno evangelico nel campo dell’informazione. Anche nell’ascolto di esperienze come quelle secolari di Post, lo spazio per la crescita del giornalismo evangelico c’è.