Due mamme per un figlio? Quando le “intenzioni” degli adulti ridisegnano la famiglia

 
 

Chi è il genitore di un figlio che nasce? I bambini hanno diritto ad un padre e ad una madre o semplicemente a una figura adulta di riferimento che si prenda cura di loro? Basta essere parte del progetto genitoriale ab origine per essere la seconda mamma, anche se c’è già una mamma? 


Queste domande cruciali a livello etico, sociale ed antropologico sembrano aver trovato risposte nuove rispetto all’orientamento che finora il nostro Paese aveva avuto a livello legislativo. Con una sentenza della Consulta depositata il 22 maggio 2025 siamo di fronte ad un possibile spartiacque.

 

La vicenda di due donne di Lecco che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero e volevano essere entrambe riconosciute come legittime mamme del nascituro ha aperto la strada a nuovi possibili scenari su cosa sia famiglia e su come la genitorialità vengano intese.

Infatti, la Corte Costituzionale si è espressa dichiarando illegittima l’esclusione della cosiddetta “madre intenzionale” dall’atto di nascita. 


Dopo la nascita della bambina, le due avvocatesse toscane, unite civilmente, rientrate in Italia, grazie ad un’interpretazione estensiva della legge 40 del 2004 sulla PMA, erano riuscite a farsi registrare entrambe come “madri” della bambina. 


Nel 2023, una circolare del Ministero dell’Interno aveva vietato ai Comuni di continuare questa pratica. Le due donne, che intanto avevano cercato un secondo figlio, si sono pertanto viste negare la stessa possibilità per il secondo nascituro.

La questione legale è arrivata fino alla Consulta che, con una sentenza storica, si è espressa in favore, non solo delle due donne, ma di tutte le altre coppie omogenitoriali che procedono con tecniche di PMA all’estero. 


Così, la sentenza della Corte costituzionale n. 68/2025 dichiara incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato all’estero tramite PMA. 


Secondo la sentenza, la norma che vietava tale pratica viola alcuni principi costituzionali:
- il diritto del minore a vedersi riconosciuto fin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile;

- la disparità di trattamento ingiustificata tra figli nati da coppie eterosessuali che ricorrono alla stessa tecnica e quelli nati da coppie omosessuali;

- il diritto del minore a vedersi riconosciuti i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi.


La motivazione sottolinea due punti centrali: secondo la Consulta, infatti, la responsabilità genitoriale nasce dall’impegno comune assunto dalla coppia nel ricorrere alla PMA, impegno dal quale nessuno dei due genitori può sottrarsi, inclusa la madre intenzionale. Inoltre, dichiara come diritto superiore del minore, non tanto la possibilità di avere un padre e una madre, quanto l’obbligo della cura e della successione ereditaria.


Questa sentenza, quindi, non è solo un pronunciamento sulla costituzionalità di una legge, ma apre nuovi scenari con cui la società italiana deve confrontarsi. Essa interpreta infatti la genitorialità come un costrutto sociale, legato alle “intenzioni” degli adulti ma slegato dalla realtà biologica (uomo e donna) e dal contesto relazionale (matrimonio).

Basta l’intenzione di diventare genitore da parte di un individuo, unito alla possibilità tecnica di diventarlo, senza la relazione tra un uomo e una donna e senza pensare alla genitorialità composta da una maternità e una paternità. La genitorialità diventa una volontà dell’individuo resa possibile dalla tecnica. Avendo “rotto” il quadro antropologico e relazionale, domani si potrà essere genitori in tre, quattro, cinque persone. Se la tecnica lo consentirà, si potrà esserlo senza più il fastidio di una relazione con un’altra persona. Una volta che non si bilanciano più le intenzioni dei singoli con un quadro relazionale (coppia di padre e madre) e con gli interessi del bambino, ci si espone alla tirannia e ai capricci degli adulti.


Inoltre, la sentenza della Consulta non ritiene che l’interesse primario del minore sia avere un padre e una madre che lo accolgano, ma di vedere i suoi diritti socioeconomici tutelati. La dimensione patrimoniale prende il sopravvento su quella relazionale-affettiva-educativa e diventa totalizzante.

L’antropologia che emerge dalla sentenza è che siamo individui che possono fare quello che vogliono con i bambini basta che ne salvaguardino l’eredità e il patrimonio. E’ evidente che siamo di fronte a degli scivolamenti pericolosi. La società italiana, nonostante le critiche e le resistenze arrivate anche dalla maggioranza parlamentare di centro-destra, sembra avviarsi verso una ridefinizione del modello di famiglia rispetto a come era stato sin qui inteso.


Che fare? La commissione Etica e società dell’Alleanza Evangelica Italiana ha offerto una utile riflessione per capire l’accaduto e orientare la partecipazione evangelica al dibattito in corso intitolata “Genitorialità, tutela dei bambini e famiglia nella società plurale”.

Tra l’altro, in essa si legge: “La famiglia, quale nucleo fondante della società, trova il suo fondamento nella relazione tra un uomo e una donna e in questa complementarità il suo valore umano, sociale ed educativo […]. Ogni ridefinizione della genitorialità che prescinda da questo quadro rischia anche di alterare l’identità e la crescita armoniosa dei minori […]”. Con questa riflessione l’AEI incoraggia al discernimento critico e costruttivo. Un documento evangelico citato, frutto di un’ampia convergenza nel mondo evangelicale italiano, è “Quale famiglia per quale testimonianza evangelica” (2016). 


Oltre a ribadire i principi biblici relativi alla famiglia e alla genitorialità, la cultura evangelica deve essere anche incubatrice di progetti e vissuti di famiglia che li rispecchino e che risultino di benedizione per l’intera società.