I tempi (troppo) lunghi dell’adozione ma non solo. A margine di un Dataroom del Corriere della Sera.

 
 

Adottare un bambino è sempre e solo un diritto dei genitori che decidono di farlo? Si può parlare del sistema di adozioni solo come un servizio da fornire alle coppie che vi aspirano? 
A suscitare la domanda sono gli interessantissimi dati pubblicati sul recente Dataroom del che fotografa la realtà delle adozioni in Italia. Il report è ben fatto e aiuta a comprendere quali sono i passaggi per muoversi in questo campo difficile. Più che altro si concentra sugli ostacoli che i genitori incontrano e su quali siano le difficoltà che alla fine frenano le adozioni in Italia. 

La legge italiana prevede alcuni requisiti imprescindibili per le adozioni: essere una coppia eterosessuale sposata da almeno tre anni dove i coniugi hanno compiuto i 25 anni di età. Al momento dell’inizio dell’iter di adozione di un neonato il genitore più giovane non deve aver superato i 41 anni e i 58 per un minore diciassettenne.

Assunto ciò, gli aspiranti genitori si devono rivolgere alla propria Asl di competenza per i primi colloqui conoscitivi dove dichiarano la disponibilità all’adozione. Il passaggio successivo è l’intervento dei servizi sociali, che valutano l’idoneità della coppia. Alla fine della procedura i servizi sociali trasmettono la loro relazione al Tribunale dei Minori che rilascia l’approvazione sull’idoneità. A questo punto la coppia sceglie se optare per un’adozione nazionale o internazionale e da qui le procedure si diversificano intraprendendo iter diversi ma ugualmente tortuosi fino anche ad arrivare ad un costo di 20.000 euro per le adozioni internazionali. 

In ogni caso, ad accomunare le procedure sono i tempi lunghi e soprattutto incerti. Il gap tra richieste ed effettive adozioni è altissimo con uno scarto fino a 7.100 tra domande e adozioni nel 2022. Contemporaneamente i tempi di attesa si sono allungati sempre più con una media che è arrivata a 4 anni e 5 mesi nel 2022. Tutto questo sta comportando un calo di richieste e molte coppie, pur avendo conseguito l’idoneità, rinunciano metà strada a causa degli ostacoli incontrati. 

È importante che ci siano ricerche che denunciano questi dati poiché l’adozione non è un tema irrilevante. La cura degli orfani è infatti oggetto di particolare attenzione da parte del Signore e questa sua attenzione dovrebbe essere l’attenzione anche della sua chiesa, composta da credenti a loro volta adottati nella famiglia di Dio. Non è detto che l’adozione sia una chiamata per ogni famiglia, ma come evangelici dovremmo essere attenti a come la società si occupa del tema e sostenere le coppie che sono chiamate dal Signore ad affrontare questo percorso. 

E’ giusto registrare i ritardi, le incongruenze e la scarsità di efficienza del sistema sociale che si occupa degli orfani. Chiediamoci, però, anche quando e come l’adozione viene presa in considerazione. Secondo il report, l’età media dei genitori adottivi, ad esempio, arriva fino ai 49 per i mariti e i 46,7 per le mogli. Non è del tutto sbagliato ricavare da questi dati che troppo spesso l’adozione arriva come scelta dopo che si è rimandata la genitorialità per molti anni e si sia data priorità ad altri aspetti della vita. Questo avviene sempre più anche per i processi biologici di riproduzione. Infatti, il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita è in forte aumento.

Tutto ciò evidenzia la tendenza a vivere la genitorialità come un diritto, più che un dono da parte del Signore; una pretesa per raggiungere i propri obbiettivi seguendo la scaletta delle priorità individuali. In queste ricerche sono evidenziati i disagi dei genitori senza figli più che quello di bambini senza una famiglia e dai destini incerti. La cultura che ci circonda ha bisogno di riformare anche il proprio punto di vista sulla genitorialità e ri-inquadrarla alla luce della Parola di Dio come un dono, una responsabilità e un modo per riflettere l’immagine del Creatore e non una pretesa per la soddisfazione individuale.