Il declino del “cristianesimo”. Forse non è una cattiva notizia

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Sta facendo discutere l’articolo di Ernesto Galli della Loggia “I grandi temi che la Chiesa ha pensato di non vedere” sul Corriere della Sera (29/12/2020). Pur riferendosi in modo particolare alla Chiesa cattolica, contiene degli spunti più generali che coinvolgono il cristianesimo nella sua globalità. Tra l’altro, Galli della Loggia sostiene che il declino del cristianesimo sia una realtà sempre più evidente. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti in Occidente: edifici religiosi che vengono trasformati in sale bingo, la pratica religiosa che si sgancia sempre più dai percorsi istituzionali, la classe dirigente (si pensi a Macron, Sánchez, Johnson, ecc.) che si congeda da un sistema di valori “cristiani” nelle pratiche di vita e nell’universo simbolico-culturale; l’emersione sempre più evidente di un problema di “libertà religiosa” nel cuore dell’Occidente (cosa impensabile sino a qualche decennio fa). 

L’articolo sostiene che papa Francesco, incurante di questa progressiva alienazione dell’Occidente e dello sbriciolamento dell’asse cristianesimo-borghesia che ha retto la storia culturale moderna, sta investendo nell’intreccio tra cristianesimo e comunismo (i “poveri”, le ingiustizie, le periferie): il suo “debole” per la Cina (a cui il Vaticano ha concesso molto, troppo, tacendo su tutte le violazioni dei diritti) sarebbe il risultato “politico” del tentativo di costruire l’asse del futuro per il cattolicesimo: non più con l’Occidente borghese che si va scristianizzando, ma con il Sud del mondo “comunista” che, almeno sulla carta, combatte le ingiustizie sociali, ambientali ed esistenziali.   

Ad una prima lettura, questo scenario è ansiogeno. Mette paura. In effetti, molti cristiani, soprattutto quelli culturalmente e politicamente “conservatori”, guardano con preoccupazione a queste tendenze e hanno la tentazione di arroccarsi su temi quali la preservazione dell’“identità” cristiana dell’Occidente, la paura dell’“altro” (musulmano, straniero, immigrato, lgbtq), il timore di perdere “privilegi” sociali connessi alla cultura “cristiana” di maggioranza. Un fenomeno relativamente recente di questa reazione ansiogena è lo sviluppo di chiavi di lettura “complottiste”: secondo queste griglie interpretative, sarebbero in corso progetti decostruttivi di élites finanziarie e culturali occidentali che vorrebbero smantellare la società occidentale nei suoi presidi tradizionali (uomo-donna, famiglia, chiese, valori “cristiani”) per inaugurare una umanità “liquida”, post-umana. Se poi si condisce tutto con teorie apocalittiche che nel cristianesimo (anche contemporaneo) hanno sempre esercitato un certo fascino, si capisce l’attrazione di questa reazione.

In effetti, non è facile capire i “segni dei tempi” che stiamo vivendo. Come minoranza evangelica in un Paese storicamente cattolico, molte spallate alla “cristianità” ereditata dal passato inferte dalla secolarizzazione sono state benvenute dagli evangelici. Una fede “di popolo” passata stancamente di generazione in generazione sotto la tutela dello Stato per mezzo di riti e pratiche collettive non è la fede cristiana. E’ un prodotto desueto della cristianità che ha scimmiottato la fede ma l’ha corrotta alla radice. E’ bene che sia risolto l’equivoco: i cristiani sono i “credenti” e non i “battezzati” nelle chiese cristiane. E’ un bene che la cristianità sia stata messa in discussione dalle sue fondamenta. Ciò ha creato uno spazio anche per riscoprire una fede biblica personale, viva, ecclesiale, confessante; oggi si direbbe “missionale”.  

Ciò che la chiesa del Signore Gesù spera di avere non è un sistema di protezioni e di privilegi che altri non hanno. In ultimo, la chiesa non confida nello Stato “cristiano”, né nelle Corti di giustizia i cui membri siano “conservatori”, né nei partiti pro-vita e pro-famiglia. Certamente la chiesa forma competenze e vocazioni in tutti questi campi affinché “tutto il consiglio di Dio” sia testimoniato in tutti i campi nelle forme legittime e proprie di ciascuna sfera. La chiesa non penserà mai di avere “già” realizzato il Regno di Dio che rimane sempre in attesa di un compimento “non ancora” raggiunto. 

Probabilmente, nello scenario scristianizzato dipinto da Galli della Loggia, una chiesa confessante in un contesto pluralistico e secolarizzato dovrà assumersi delle responsabilità maggiori in campo educativo e culturale, non delegando allo Stato o alla cultura di maggioranza il compito di provvedere a beni e servizi che sin qui lo Stato ha provveduto (scuola, assistenza, cura delle persone). Dovrà continuare a lottare per la libertà religiosa per tutti: il diritto di professare pubblicamente la fede, senza interferenze e men che meno restrizioni da parte dello Stato o delle élites culturali. 

La chiesa deve riscoprire il dono e la vocazione di essere una comunità “totale” dell’evangelo. Il declino della cristianità, per quanto culturalmente doloroso, non è necessariamente una cattiva notizia. E’ una sfida per la chiesa ad essere autenticamente tale ed essere pronta alle conseguenze (anche quelle del martirio) della fedeltà all’evangelo.