La missione ha bisogno di affermazioni e negazioni

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La “missione” è un tema generalmente attrattivo e attraente fuori e dentro al mondo evangelico, ma anche controverso. Da un lato, papa Francesco parla volentieri di “missione” sulla scia del Vaticano II, ma ciò che ha in mente è un mix di solidarismo, ecologismo e misericordia che perde di vista le istanze veritative del messaggio evangelico e la necessità della conversione a Cristo per la salvezza. Negli ambienti ecumenici del CEC, si parla volentieri di “missione”, ma anche qui ciò che si intende è un globalismo abbracciante in cui le “asperità” dell’evangelo biblico vengono respinte. La missione è declinata come invito all’umanità intera di trovarsi in una fraternità che tutti accomuna.

Nel mondo evangelico, molta acqua è passata sotto i ponti della missione. Dal congresso di Losanna per l’evangelizzazione del mondo (1974) a oggi, si è assistito ad un crescendo dell’importanza della missione nella narrazione dell’impegno cristiano, ma anche ad una sua trasformazione. In questi quarant’anni, vi è stata sicuramente l’ansia di ricomprendere tutta la vita in termini di “missione” (di qui, il conio del nuovo aggettivo “missionale”) e di mobilitare tutti i soggetti in vista della missione (credenti, chiese locali, agenzie missionarie, ecc). Ottimo. Tutto bene, dunque? Non proprio.

Nell’attuale enfasi evangelica sulla missione stanno emergendo delle criticità. Una di questa è la crescente sfumatura dei parametri, dei contorni, dei presidi della fede evangelica. Domande come: Dio salva anche i non cristiani? Gesù è implicito nelle religioni e nelle culture? Basta essere a posto con la coscienza per essere salvati? La fraternità può essere estesa anche ai non credenti? Possiamo pregare con gli aderenti di altre religioni? Le scienze sociali devono dirci come fare missione? C’è ancora spazio per l’apologetica? E se sì, quale? … sono tutti interrogativi aperti anche in molte discussioni missiologiche interne al mondo evangelico. 

Sia la missiologia di papa Francesco che quella in voga nel mondo ecumenico, affermano solo (la misericordia, la fratellanza, la solidarietà), senza negare nulla (le conseguenze del peccato, l’esclusività di Cristo, l’idolatria delle religioni). Anche la missiologia evangelica corre questo rischio se si allontana da una visione biblica del mondo.

Entrando nelle questioni accennate, il documento “Affirmations and Denials Concerning World Missions”Themelios45:1 (2020) è un utilissimo strumento per capire cosa bolle in pentola nella casa della missiologia e cosa costituisce un motivo per esercitare il discernimento cristiano. Il documento è stato redatto dalla Southgate Fellowship, un gruppo di teologi e missiologi guidato, tra gli altri, da Dan Strange (Oak Hill College, Londra), David Gardner (Westminster Theological Seminary, Philadelphia) e Yanick Imbert (Faculté Jean Calvin, Aix-en-Provence). Con 100 tra affermazioni e negazioni, il documento aiuta a fissare il perimetro del campo di gioco della missione, aiutando a chiarire cosa può essere detto biblicamente e cosa deve essere negato biblicamente. Sia la missiologia di papa Francesco che quella in voga nel mondo ecumenico, affermano solo (la misericordia, la fratellanza, la solidarietà), senza negare nulla (le conseguenze del peccato, l’esclusività di Cristo, l’idolatria delle religioni). Così facendo, la missione diventa elusiva e si trasforma in una generica chiamata al buon vicinato. Anche la missiologia evangelica corre questo rischio se si allontana da una visione biblica del mondo. Dire e negare sono facce della stessa medaglia della fedeltà all’evangelo. Affermare ciò che la Bibbia afferma e negare ciò che la Bibbia nega sono entrambe delle responsabilità primarie per la missione.

Una debolezza di questo documento, peraltro ammirevole, è l’assenza di interazione con documenti evangelici dedicati alla missione, quali il Patto di Losanna (1974), il Manifesto di Manila (1989) e l’Impegno di Città del Capo (2010). Se non ci abituiamo a pensare la missione in termini di pensiero evangelico comune ed in divenire, faremo fatica a fare un salto di qualità nella nostra riflessione, anche sulla missione.