La mossa di cavallo di Leone XIV. Attenzione a 5 fattori d’attrazione

 
 

Né un arrocco, né un movimento di galleggiamento, ma una mossa di cavallo. Così, in termini scacchistici, può essere vista l’operazione Leone XIV. Con questa mossa il volto della partita cambia.

Chi si aspettava l’arrocco (la mossa difensiva, “conservatrice”, che corre ai ripari sentendosi minacciata) è stato spiazzato dalla scelta del conclave. Prevost non è espressione del cattolicesimo restauratore e tradizionalista che alcuni settori della Chiesa di Roma auspicavano.

Nominato cardinale da Francesco, incaricato da Francesco di selezionare i vescovi di tutto il mondo, Prevost è figlio del papato bergogliano e dentro l’agenda di Francesco per la sua chiesa. Non sono previsti smantellamenti o inversioni a U sulle principali traiettorie aperte dal papa argentino. 


Chi si aspettava una mossa laterale, di decantazione diplomatica, di temporeggiamento e attendistica, è rimasto altresì sorpreso. Tra i candidati papabili, Parolin incarnava questa scelta di raffreddamento degli animi in vista di future scelte strategiche.

Lui, l’ex Segretario di Stato vaticano, era dato come il candidato favorito per stemperare la confusione introdotta da Francesco e calmare gli animi delle fazioni che dilaniano la Chiesa di Roma. Con la scelta di Leone XIV, Roma non ha optato per l’attesa, per la diplomazia, per la linea centrista e diplomatica. Prevost è un papa “giovane” (quasi 70 anni) e ha davanti a sé un lungo pontificato. Il conclave non ha scelto una soluzione “ponte”, ma ha fatto una scelta strategica per il futuro. 


L’elezione di Leone XIV rappresenta allora una mossa di cavallo: inaspettata, dalle retrovie, che spiazza l’assetto della scacchiera e la riconfigura in modo diverso. 


Intanto è americano. Sino a ieri, esisteva una clausola (non scritta) che la Chiesa di Roma non potesse esprimere un papa figlio di una superpotenza economica mondiale. Il conclave ha dimostrato, invece, di avere la mente “libera” da categorie geo-politiche novecentesche. La maggioranza dei cardinali che lo ho votato viene dal “global south” (Asia e Africa) e ha dato dimostrazione di non avere paraocchi occidentali. 


Il suo essere americano può avere due obbiettivi: 

  • togliere a Trump e al cristianesimo conservatore che lo sostiene la leadership culturale della reazione alla cultura “woke” che è in corso negli USA e non solo, riproponendo la Chiesa cattolica come garante della civiltà.

  • Attrarre al cattolicesimo gli evangelici americani in uscita o che stanno considerando l’opzione cattolica come più solida e attrattiva rispetto alla superficialità del consumismo religioso. Gli USA sono un “mercato religioso” in movimento e avere un papa americano può calamitare consensi.


Poi è agostiniano. Dopo un gesuita come Bergoglio (eclettico, scaltro ma confusionario), Leone XIV è appartenente ad un ordine millenario. Questo imprinting rende il nuovo papa più prevedibile, più dentro gli schemi, in un certo senso più tradizionale. Il suo essere agostiniano lo rende forse più vicino al mondo cattolico conservatore ed è una mano tesa al recupero del dissenso da “destra”.

Prevost non è uno studioso (anche se ha insegnato in Perù), ma ha un pensiero che è dentro una tradizione teologica attestata nel cattolicesimo e poco caratterizzata da “creatività” (come è stato il caso del pensiero di Francesco).  


Poi è un amministratore. Leone XIV è un esperto di diritto canonico (avendo ricevuto il suo grado accademico più alto all’Angelicum di Roma), è stato per molti anni priore generale dell’ordine degli agostiniani, vescovo in Perù.

Inoltre, nell’ultima fase del suo pontificato, Francesco lo ha messo a capo del dicastero vaticano che seleziona i vescovi di tutto il mondo. In altre parole, più che un teologo è un uomo di governo. Dopo un pontificato come quello di Francesco caratterizzato dal caos istituzionale, il conclave ha eletto un uomo che sa gestire, almeno sulla carta, una macchina complessa come la Chiesa cattolica.


Non basta. Prevost è anche una personalità cosmopolita. Parla correntemente 5 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, portoghese) e ha avuto significative esperienze missionarie ed ecclesiastiche in America Latina, oltreché nel cuore della burocrazia vaticana. E’ nord-americano, ma anche latino-americano. Sa interfacciarsi con mondi diversi, avendone vissuti molti. Di fatto, è un leader a tutto tondo. 


Infine, il nome scelto è Leone XIV. Essendoci stati tredici papi col nome Leone, è difficile sapere a quale lui si sia ispirato maggiormente. E’ intuibile che un certo fascino lo abbia esercitato l’ultimo Leone, Leone XIII (1810-1903), il papa che seppe combinare il più alto grado di adesione alla tradizione della chiesa (il tomismo) e l’apertura alle questioni sociali del tempo. Il nuovo Leone proverà a fare la stessa cosa: aperto nella cattolicità sociale, più rigoroso nella cornice dottrinale. 


Per tutte queste ragioni, la scelta di Leone XIV è stata una mossa di cavallo. Da essere sotto scacco con Francesco, la Chiesa cattolica prova a invertire le sorti della partita con il mondo, con le religioni, con l’umanità. Si ricompatta e rilancia.


Si può prevedere che parte del mondo evangelico sarà affascinata ed attratta dal nuovo papa. Gli evangelici del “Global South” vedranno in lui il “missionario” vicino ai poveri dell’America Latina. Gli evangelici nordamericani vedranno in lui un papa agostiniano che conosce il linguaggio conservatore della tradizione. Ognuno vedrà il papa che vuole. 


Quello che non dovrà mancare è il discernimento evangelico. Leone XIV è il Sommo Pontefice di Santa Romana Chiesa che incarna un sistema religioso distinto e distante dal vangelo di Gesù Cristo. Più o meno ammiccante, più o meno conservatore, più o meno aperto, non importa granché.

Si tratta di dinamiche interne al cattolicesimo romano che, dando prova di grande acume e lungimiranza, con la scelta del nuovo papa rilancia sé stesso volendo portare il mondo intero sotto e dentro l’influenza della struttura romana.