La “nuova prospettiva” su Paolo di N.T. Wright. Poche luci, tante ombre
E’ uno dei teologi viventi più noti al grande pubblico, non solo nel mondo anglosassone. Affermatosi come studioso di Paolo e dei vangeli con importanti pubblicazioni sul tema (ad esempio: Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni, Torino, Claudiana 2003 e Risurrezione, Torino, Claudiana 2006), negli ultimi anni spazia con molta libertà su questioni pubbliche come il nazionalismo, la politica e le principali correnti culturali del nostro tempo (in italiano, ad esempio: Semplicemente cristiano. Perché ha senso il cristianesimo, Torino, Claudiana 2014 e Dio, la pandemia e noi, Chieti, GBU 2020). Stiamo parlando di Tom Wright o N.T. Wright (1948- ), vescovo anglicano e professore emerito di teologia in varie università britanniche e canadesi.
Forse il principale contributo di Wright alla discussione teologica contemporanea è associato alla “nuova prospettiva” su Paolo che da alcuni decenni ha movimentato il campo degli studi biblici e non solo. A fornire uno stato dell’arte del dibattito è stato Adám Szabados, teologo evangelico ungherese, che ha tenuto due ampie relazioni allo European Leadership Forum da poco tenutosi a Wisla (Polonia).
L’anno scorso Szabados aveva analizzato le ambiguità della missiologia di Lesslie Newbigin, un’altra figura traversale e influente nella cultura teologica. Alla conferenza di quest’anno, la sua analisi si è concentrata su Wright.
La “nuova prospettiva” su Paolo non l’ha inventata N.T. Wright. Essa nasce nel campo degli studi neo-testamentari con E.P Sanders, poi elaborata da J. Dunn e altri. In sintesi, questi studi sostengono che Paolo va letto nel contesto del giudaismo del Secondo Tempio che non è legalista. Inoltre, la giustificazione per Paolo non è la dichiarazione giuridica di salvezza ma il modo in cui rimanere nell’alleanza.
Così facendo, la nuova prospettiva critica aspramente la “vecchia” prospettiva associata alla lettura protestante storica di Paolo e della giustificazione.[1] Quest’ultima avrebbe del tutto frainteso il messaggio di Paolo, strozzandolo dentro categorie che non apparterrebbero al giudaismo del Secondo Tempio.
N.T. Wright si inserisce in questa corrente apportando il suo contributo originale. In italiano esso è rinvenibile in opere quali Cosa ha veramente detto Paolo, Torino, Claudiana 2000 e L’apostolo Paolo, Torino, Claudiana 2008. Per Wright il linguaggio di Paolo della giustificazione è partecipativo e non giuridico.
La giustificazione non è il perdono della persona singola grazie all’imputazione della giustizia di Cristo, ma la partecipazione alla comunità dell’alleanza che il Messia è venuto a stabilire. Per Wright, la giustificazione ci parla della vita della chiesa, non della dottrina della salvezza.
Nella sua lettura Szabados ha ricordato che se è vero che Paolo vive nel contesto del giudaismo del Secondo Tempio, l’apostolo guarda a tutto il canone biblico dell’Antico Testamento. Per Paolo, la giustificazione è valsa per Abramo e per Davide (Romani e Galati): il suo mondo di riferimento non è l’ambiente prossimo, ma la storia della salvezza come è raccontata nell’Antico Testamento.
Questo è un limite ermeneutico decisivo di tutta la “nuova prospettiva”: aver confinato Paolo nel giudaismo del Secondo Tempio e non apprezzarlo come uomo saturato nelle Scritture.
Sul piano esegetico, la “nuova prospettiva” spoglia il termine greco “dikaiosune” usato da Paolo di tutti i suoi contenuti giuridici e lo riempie dei contenuti con cui veniva usato a Qumran in ottica di appartenenza ad un gruppo. Eppure, in Romani 4 esplicitamente Paolo lo impiega in senso forense.
Da un punto di vista teologico, Wright depotenzia la soteriologia e amplifica l’ecclesiologia, stravolgendo quindi l’equilibrio tra le due. Sul versante pastorale, la “nuova prospettiva” di Wright non può trattare il tema della colpa e il vangelo di Wright non ha nulla da dire alla coscienza turbata del peccatore se non raccontargli una macro-storia ma senza addentellati personali.
Szabados ha anche ricordato come Wright e altri proponenti della “nuova prospettiva” abbiano una visione limitata e caricaturale della “vecchia” prospettiva. In realtà, sia Lutero che Calvino e le tradizioni a loro associate, mentre hanno giustamente insegnato il carattere forense della giustificazione, lo hanno opportunamente collegato all’unione con Cristo e alla partecipazione alla chiesa.
La “vecchia” prospettiva è biblicamente ricca, teologicamente armonica e pastoralmente equipaggiata per l’annuncio dell’evangelo.
Il teologo evangelico ungherese ha ricordato come Wright è un autore prolifico e brillante, anche se spesso ambiguo e sfuggente. La sua “nuova prospettiva” presenta alcuni spunti illuminanti, ma all’interno di tante ombre che non la rendono una spiegazione affidabile e fedele del messaggio della giustificazione di Paolo.
[1]: Per una lettura evangelica, cfr. Douglas Kelly, “La giustificazione e la ‘nuova prospettiva’ su Paolo”, Studi di teologia N. 53 (2015).