Le mani sul calendario. Cosa vuol dire avere una festa nazionale dedicata a san Francesco?

 
 

Evviva, evviva! Dall’anno prossimo avremo un giorno di festa in più: il 4 ottobre, data della festa liturgica (cattolica) di San Francesco d’Assisi (1181-1226). Infatti, il Parlamento italiano ha approvato la legge per cui la giornata del 4 ottobre sarà anche festa civile nazionale. Uffici chiusi, scuole chiuse, servizi dimezzati. 


Tra la festa dell’assunzione corporale di Maria (15 agosto) a quella dell’immacolata concezione sempre di Maria (8 dicembre), ora lo Stato italiano (che dovrebbe essere laico) aggiunge anche la festa di San Francesco (4 ottobre) che la chiesa cattolica riconosce come Patrono d’Italia. Anzi no: dimenticavo che, in mezzo, c’è anche la festa di Ognissanti (1 novembre) dedicata a tutti i santi proclamati tali sempre dalla Chiesa di Roma. 


Maria, San Francesco, Ognissanti: il nostro anno, la nostra agenda, la vita di milioni di cittadini italiani, è scandita al ritmo di date pregne di significato devozionale cattolico ma timbrate e imposte dallo Stato laico per tutti. 


Da notare che la festa del 4 ottobre era stata introdotta dal governo Mussolini nel 1926 e abolita nel 1977. Si tratta allora di un dejà vu che ritorna. Ora viene ristabilita con il voto quasi unanime del Parlamento. Voci dissenzienti non sono pervenute. Nel presentare l’approvazione, è stato sottolineato il “valore religioso e civile” della festa. Francesco unirebbe credenti e non credenti, religione e ambientalismo, dialogo interculturale e amicizia tra i popoli. Può essere letto da destra come simbolo dell’Italia “cristiana” e da sinistra come emblema di una componente controculturale che diventa centrale. Non dimentichiamo, poi, che Francesco evoca anche la memoria viva di papa Bergoglio che ha elevato il suo nome a programma del pontificato.


Per Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, San Francesco è “un santo amato da tutto il popolo italiano e in cui tutto il popolo italiano si riconosce. La Festa nazionale sarà l’occasione per celebrare un uomo straordinario e ricordarci, ogni anno, chi siamo e cosa ci unisce nel profondo”. Addirittura, vi è chi si spinge a dipingere Francesco come il modello del “genio italico”: inclusivo, amichevole, tollerante, ecumenico, pacifista, insomma cattolico.

Anche i novelli agnostici devoti della cultura laica, lo storico Alessandro Barbero e il giornalista Aldo Cazzullo, hanno dedicato a Francesco libri che sono in cima alla classifica dei libri venduti. Il Governo ha anche stanziato importanti fondi pubblici (cioè presi da tutti i cittadini) per organizzare il centenario di Francesco nel 2026 con eventi e iniziative in tutto il mondo.

 

Una quindicina di anni fa il fascicolo “Teologia del calendario”, Studi di teologia N. 43 (2010) suggeriva alcuni spunti per pensare in senso evangelico all’ideologia sottesa al calendario. Esso, infatti, è il più grande documento di sintesi della cultura. Il calendario è la mappa fondamentale di una cultura, quella che dice ciò che veramente è importante. Aggiungere la festa di San Francesco è dunque un’operazione ideologica.


Nell’attuale temperie culturale, San Francesco è stato impiegato per negoziare e patteggiare gli equilibri ideologici di una nazione. Visto che il calendario raccoglie il pantheon degli idoli di un popolo, Francesco, che già vi apparteneva durante il fascismo, è stato reintrodotto in chiave ecumenica, universalista e bipartisan. Come si sa, ogni pantheon che si rispetti può sempre (ri)aggiungere un posto a tavola.


Non è un bel segnale per la maturità di una nazione. Se per cementare il senso di festa e di unità, si deve andare a prendere un “santo” della Chiesa romana e “protettore” dell’Italia, vuol dire che la cultura civile del Paese ha ancora bisogno della tutela del cattolicesimo e dell’immaginario cattolico per trovare coesione. Vuol dire che deve fare riferimento al cattolicesimo per nutrire la propria identità. Vuol dire che il suo tasso di laicità è ancora scadente.