Mai una gioia? Non a Libri per Roma

 
 

“Mai una gioia”. Chi abita a Roma sente spesso questa frase. La dicono le persone che vogliono esprimere la triste constatazione che la vita è dura e piena di delusioni. “Mai una gioia” è anche un approccio alla vita che non solo non vede occasioni di gioia, ma non sa nemmeno vederle anche quando si presentano.


Proprio nel cuore della città di “mai una gioia” si è tenuta la presentazione del libro del puritano inglese Jeremiah Burroughs (1599-1646), Il gioiello raro della contentezza cristiana, Caltanissetta, Alfa&Omega 2024, nell’ambito di “Libri per Roma”, un’iniziativa giunta al sesto anno dell’ICED per promuovere la cultura evangelica tramite il dialogo sui libri. La presentazione del libro è stata fatta da Reid Karr e Marcello D’Ambrosio, entrambi pastori evangelici a Roma e a Napoli, rispettivamente.


In questa opera classica del puritanesimo inglese, Burroughs parla della contentezza (“contentment”) come di un gioiello di Dio donato ai credenti. È raro perché, benché sia un dono divino, va vissuto e assimilato da chi l’ha ricevuto. Non si appiccica alla vita in modo meccanico, ma lo si scopre man mano che lo si sperimenta. Se non ce se ne appropria, la vita cristiana rimane invischiata nella cultura malata del "mai una gioia”. 


Nella sessione di domande e risposte seguita alla presentazione del libro, sono emersi alcuni spunti degni di nota. Ad esempio, il “raro gioiello della contentezza” appartiene alla controcultura evangelica in un assetto culturale dominato dal paradigma di “mai una gioia” o dalla ricerca di gioia in fonti avvelenate che stordiscono ma non soddisfano.

Mentre Burroughs scriveva il manifesto della gioia cristiana nella prima metà del Seicento, nella cultura uscita dalla Controriforma fu la stagione del barocco a rappresentare un’alternativa alla contentezza cristiana nel segno dello sfarzo sensuale, delle immagini iperboliche e della ricerca di realtà aumentata.


Mentre il Catechismo minore di Westminster (1647) insegnava a generazioni di credenti evangelici che lo scopo principale della vita è “gioire in Dio per sempre” (non a caso Burroughs fu uno di partecipanti all’assemblea di Westminster che lo redasse), a Roma la gioia fu associata alla lussuria della carne, all’esplosione iconografica, al fasto delle forme. Si tratta di due direzioni radicalmente diverse.


Un’altra domanda emersa nella serata è stata se e come la “contentezza” di cui parla Burroughs possa e debba tradursi anche in cultura della gioia cristiana a livello ecclesiale. In altre parole: va bene la sfida di ricevere il “raro gioiello” nella vita personale, ma la stessa responsabilità vale anche come chiese? Quanto “contenti” sono i nostri vissuti ecclesiali? Gli incontri? I culti? Certamente, è stato notato, c’è il rischio di costruire artificialmente una parvenza di gioia o di manifestarla in modo ipocrita. Resta la domanda: le nostre chiese sono comunità della contentezza cristiana o del “mai una gioia”?


Un’altra domanda che non è stata fatta, ma che può sorgere è: dopo Burroughs, chi nella letteratura evangelica ha sottolineato il tema della gioia in Cristo? Viene in mente un autore popolare e contemporaneo come John Piper con il suo best seller Desiderare Dio.

Non a caso il sottotitolo è “meditazioni di un edonista cristiano”. Forse l’edonismo di Piper non è esattamente la traduzione moderna della contentezza di Burroughs, ma siamo comunque vicini. La cultura evangelica è sempre sfidata a riscoprire il gioiello e a viverlo.


La contentezza rimane un gioiello raro, allora come ora. A “Libri per Roma” si è cercato di promuovere una controcultura evangelica all’insegna della gioia. “Mai una gioia” allora? No. Si può vivere gioendo in Dio sempre, in modo vero e profondo.



P.S. Il prossimo appuntamento di “Libri per Roma” è previsto per sabato 7 febbraio con la presentazione del libro di Federico Canaccini, Sacre ossa. Storie di reliquie, santi e pellegrini, Bari-Roma, Laterza 2025.