Rapporto Censis 2025. Dove è Dio tra le statistiche?
Il 59° Rapporto Censis fotografa un’Italia in "modalità sopravvivenza": un Paese disincantato, ripiegato sul presente e privo di una visione collettiva del futuro. Tra stagnazione economica, inverno demografico e sfiducia istituzionale, emerge il ritratto di una società che non crede più nel progresso lineare, ma cerca rifugio in nicchie di benessere individuale o nella fascinazione per la forza.
Dal punto di vista evangelico, questa non è solo una crisi sociologica, ma un vuoto spirituale che invoca una nuova proclamazione della signoria di Cristo sulla vita e sulla storia.
Geopolitica della paura e idolatria del potere
L’immaginario collettivo italiano sta subendo una profonda mutazione: il mito del progresso pacifico ha ceduto il passo a un realismo cinico. Se per il 73,7% degli italiani gli Stati Uniti non rappresentano più un modello e il 61,9% giudica l’Unione Europea inefficace, emerge un vuoto di riferimenti che viene riempito dalla fascinazione per la potenza. È significativo che il 55,2% veda il baricentro del mondo spostarsi verso Cina e India e che il 38,8% ritenga ormai i conflitti armati l’unico vero strumento di risoluzione delle controversie.
Teologicamente, siamo di fronte a un dislocamento della speranza. Quando quasi la metà del Paese (46,8%) smette di credere in un futuro di progresso e un significativo 29,7% guarda con favore ai regimi autocratici, si manifesta una forma moderna di idolatria: la richiesta di sicurezza all’"uomo forte" o alla forza militare (settore in cui la produzione è cresciuta del 32,3%).
I cristiani sono chiamati a demitizzare questa pretesa, ricordando, sulla scorta di Romani 13, che l’autorità è servizio relativo e non assoluto, e che la vera stabilità non risiede nella potestas umana, ma nella fedeltà di Dio che governa la storia oltre le mappe del potere e le macerie degli imperi.
Il furto del futuro: debito ed etica intergenerazionale
Il dato economico più inquietante non è solo quantitativo, ma etico: il debito pubblico ha raggiunto i 3.057 miliardi, con una spesa per interessi passivi di 85,6 miliardi annui. Questa cifra supera ormai gli investimenti statali per l’istruzione (76,5 miliardi) e per la sanità ospedaliera (54,1 miliardi). In un contesto in cui il rapporto debito/Pil è al 134,9%, stiamo assistendo a una sistematica erosione del domani a vantaggio del presente.
Dal punto di vista dell’etica cristiana, questo squilibrio rappresenta una violazione del patto tra le generazioni. Un sistema che spende in interessi passivi più di quanto investa nella cura (sanità) e nella formazione (scuola) sta dicendo che il passato pesa più del futuro.
La comunità cristiana deve denunciare questa miopia non solo come errore tecnico, ma come ingiustizia strutturale. La risposta ecclesiale passa per la promozione di una cultura della sobrietà e della responsabilità diffusa, sostenendo che le risorse non sono proprietà da consumare, ma un mandato da custodire per chi verrà dopo. La richiesta di equità fiscale verso i colossi del web, avanzata dall’81,1% degli italiani, segnala una fame di giustizia che va intercettata e orientata.
Lavoro, demografia e vocazione nel tempo della scarsità
L’Italia è un Paese che invecchia e lavora "tardi". Con gli over 65 al 24,7% (proiettati al 34,1% nel 2045) e una crescita occupazionale trainata per l’84,5% dagli ultracinquantenni, si delinea una società bloccata. I giovani under 35 arretrano nel mercato del lavoro, mentre i salari reali sono calati di circa l’8%. Parallelamente, la deindustrializzazione avanza (manifattura -4,2% nel 2024) e l’imprenditoria giovanile crolla (-46,2% in vent’anni).
Biblicamente, questo scenario segna la ferita di tre benedizioni: la discendenza (pochi figli), la dignità del lavoro e l’accoglienza (con gli stranieri spesso relegati ai margini). La "febbre" del ceto medio, che tenta di mantenere i consumi nonostante l’impoverimento, rivela una crisi di senso: il lavoro ha perso la sua dimensione vocazionale per diventare mera sopravvivenza o status.
La sollecitazione cristiana qui è duplice e parallela: da un lato riscoprire la vocazione del lavoro e i suoi confini, ricordando che la dignità umana non dipende dal reddito o dal successo imprenditoriale, ma dalla fedeltà a Dio nel proprio operare quotidiano; dall’altro ricucire il patto sociale, investendo in comunità evangeliche che siano sempre più laboratori di integrazione, dove anziani e giovani, italiani e stranieri, non siano in competizione per risorse scarse, ma membra dello stesso corpo.
L’assolutizzazione del presente
Di fronte a un futuro percepito come minaccia, la reazione dominante è la fuga nel presente: consumi esperienziali, cura del corpo, disimpegno politico (con l’astensione spesso oltre il 40%). È l’eclissi della trascendenza: il senso della vita si contrae nell’attimo fuggente.
In questo quadro, emerge con forza una sessualità vissuta come consumo e rifugio identitario. Con il 33,2% delle famiglie ormai composte da una sola persona e un numero crescente di coppie (oltre il 22%) che esclude a priori la genitorialità, l’eros appare slegato dalla progettualità generativa. Spesso mediata dal digitale (canale primario di interazione affettiva per il 28,5% dei giovani adulti), la sessualità diventa l’ultimo baluardo di una sovranità individuale che non trova più spazio nella sfera pubblica.
Tuttavia, proprio questa "crisi strutturale della speranza" apre uno spazio inedito per il Vangelo. La speranza cristiana si distingue radicalmente dall’ottimismo ingenuo (smentito dai dati) e dalla fiducia nella forza o nelle sole energie umane (cercata dal 29,7%). Essa si fonda sul Cristo crocifisso e risorto che irrompe nelle statistiche del fallimento umano.
Conclusione
Il Rapporto Censis 2025 non è una sentenza, ma una diagnosi che interpella la testimonianza evangelica. In un’Italia dove il 46,8% non crede nel progresso e dove le istituzioni faticano a garantire giustizia intergenerazionale, la presenza cristiana non può limitarsi all’assistenzialismo. Deve osare una presenza regale, profetica e sacerdotale:
Comunità evangeliche controculturali: contesti in cui sia offerta un’alternativa di vita concreta (non solo dottrinale), capaci di praticare un’economia della condivisione contro l’accumulo, di ricucire il patto tra generazioni, di testimoniare relazioni fedeli contro il consumo affettivo.
Narrazione diversa: annunciare che il futuro non è determinato dal debito o dalla demografia, ma è aperto dalla promessa di Dio.
Vocazione pubblica: formare credenti che, senza idolatrare la politica, si impegnino per il bene comune e la giustizia proprio quando la fiducia collettiva è ai minimi storici.
Solo riportando il Vangelo al centro — come unica vera notizia capace di generare futuro — i numeri del declino possono trasformarsi nel contesto in cui la grazia di Dio brilla con maggiore intensità.