Perché Chesterton si è convertito al cattolicesimo? Lezioni per le chiese evangeliche
Nelle Lezioni sul calvinismo tenute a Princeton nel 1898, il teologo e statista olandese Abraham Kuyper pensava che il cattolicesimo attraversasse una crisi irreversibile. Chiusa nel suo tradizionalismo e schiacciata dalle sfide del mondo moderno, Roma appariva a Kuyper una religione vecchia, in un stato di declino da cui non si sarebbe più ripresa. Si sbagliava.
Vero è che il cattolicesimo di fine Ottocento aveva raggiunto un punto basso in termini di consenso e capacità attrattiva, ma vi erano anche segnali di ripresa (tra cui il papato di Leone XIII) che sarebbero fioriti nel Ventesimo secolo. Di tutt’altra opinione a quella di Kuyper era Gilbert K. Chesterton (1874-1936), giornalista, scrittore e polemista inglese di una generazione più tardi. Lui si convertì al cattolicesimo proprio perché lo riteneva la religione più viva e vitale che esistesse.
L’inventore del personaggio di padre Brown (diventato poi famoso in una serie televisiva degli Anni Settanta) scrisse un libretto nel 1927 a seguito della sua conversione a Roma a quarantott’anni di età. Il volumetto è stato tradotto in italiano: La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento, Torino, Lindau 2010. Qui in puro stile chestertoniano, pieno di verve retorica e in una prosa scoppiettante, lo scrittore racconta perché è diventato cattolico: il cattolicesimo è “l’unica religione antica ad essere così nuova” (16), portatrice di una “vitalità concreta e intensa” (64).
Nato in una famiglia anglicana (ma unitariana), Chesterton ebbe una fase della vita in cui si avvicinò allo spiritismo (contro il materialismo dominante d’inizio Novecento) e poi al socialismo politico. Animo inquieto e irrequieto, Chesterton aveva assimilato un atteggiamento sprezzante nei confronti del cattolicesimo. La retorica anti-cattolica, sia da parte anglicana che da parte “scientista”, aveva dipinto ai suoi occhi il cattolicesimo come ricettacolo di stupidaggini e di soprusi da risultare una religione irrazionale, immorale e anti-patriottica.
Fu quando la sua ricerca lo portò a mettere in discussione tutto che le critiche al cattolicesimo gli apparvero pregiudiziali, riduttive, parziali. Il cattolicesimo cominciò a sembrargli quel luogo accessibile da molti ingressi in cui “tutte le verità si danno appuntamento”.
Cominciò a vedere le cose da un altro punto di vista: “i protestanti sono cattolici che hanno fatto uno sbaglio” (74). Invece di tenere tutto insieme: tutte le dottrine, tutte le pratiche, tutte le devozioni, tutte le sensibilità, ecc. come ha fatto Roma, il protestantesimo ha preso un pezzo (la predestinazione per i calvinisti, la giustificazione per i luterani, l’anti-romanismo per gli anglicani della “chiesa bassa”, ecc.) e quel pezzo è diventata una “ossessione”. I protestanti hanno infranto quello che il cattolicesimo mantiene unito e lo hanno isolato dal tutto. Per Chesterton, è solo nella filosofia cattolica che si trova la “sintesi”, il “centro” e l’equilibrio di tutto (77).
Dopo la conversione al cattolicesimo di John Henry Newman, avvenuta una generazione prima, quella di Chesterton suscitò grande clamore in Inghilterra, considerata la notorietà del personaggio.
Che dire dei suoi rilievi? Al netto del fatto che ogni storia personale è unica, ci sono almeno due osservazioni da fare a distanza di un secolo da quella conversione al cattolicesimo.
Da quello che riporta Chesterton, la critica che in gioventù aveva udito del cattolicesimo era principalmente fatta a partire dalla superiorità “anglicana” rispetto a Roma. In questa critica si mescolavano motivi politici (i cattolici non possono essere servi leali della Corona) e culturali (la cultura latina è inferiore a quella anglosassone). Poi c’erano spezzoni di critica a pratiche e credenze cattoliche più in base al “buon senso” ma senza averne compreso l’infondatezza biblica. Insomma, la critica al cattolicesimo era un impasto di pregiudizi e di frammenti polemici. La critica evangelica al cattolicesimo deve andare oltre l’antagonismo culturale, emotivo e politico a Roma. Deve essere fondata sulla Scrittura e nutrita da una visione d’insieme.
Il secondo rilievo ha a che fare con la visione che Chesterton ha delle chiese protestanti. Nella sua ottica, ciascuna di esse ha un suo “pallino” unico ed esclusivo. In altre parole, le chiese protestanti si interessano solo del loro “particolare” senza coltivare una visione biblicamente e storicamente “cattolica”. In effetti, se la fede è fatta di pezzetti soltanto, è una fede scarsa. Per essere in grado di reggere all’attrazione inglobante del cattolicesimo, la fede evangelica deve coltivare il suo radicamento biblico, il suo respiro storico e la sua rilevanza culturale. Altrimenti, come è successo per Chesterton, il cattolicesimo apparirà quell’eldorado che non è. A distanza di quasi cento anni, la conversione di Chesterton interroga ancora la fede evangelica.