Se “evangelico” significa altro. Tre riflessioni su The State of Theology 2025
Nel piccol(issim)o è successo anche a me. Di recente, davanti ad una classe di studenti internazionali mi sono presentato come “pastore evangelico”. Una ragazza, guardandomi con sguardo accigliato, ha reagito: “allora sostieni Trump”. Nel suo mondo, la parola “evangelico” significava soprattutto quello: un’etichetta politica.
Purtroppo, non era sola. Sembra che “evangelico” sia un fonema dai contenuti sempre più rarefatti e cangianti: quelli dottrinali si scolorano e quelli politici diventano dominanti. Almeno questo sembra accadere negli Stati Uniti, e non da oggi.
Questo è ciò che emerge da The State of Theology (2025), una ricerca su un campione di “evangelici” americani effettuata da Ligonier Ministries e LifeResearch. Dai risultati viene fuori che l’universo associato ad “evangelico” è un mix di qualunquismo religioso e di agenda politica conservatrice.
Ad esempio, sul fronte dottrinale, il 64% degli evangelici intervistati crede che “siamo nati innocenti agli occhi di Dio”; il 53% pensa che “tutti pecchiamo un po’, ma siamo fondamentalmente buoni”; il 53% pensa che lo Spirito Santo sia una forza ma non un essere personale; il 47% ritiene che Dio accetti il culto di tutte le religioni; solo il 61% è convinto che ogni cristiano abbia il dovere di appartenere ad una chiesa locale.
Queste sono spie rivelatrice di una modificazione genetica della parola “evangelico”, lontana dai tratti biblici e storici del suo significato. Se alla confusione dottrinale si aggiunge la piega politica, ecco che la frittata è fatta: dici evangelico e intendi “un sostenitore di Trump” (vedi la mia studentessa).
Tre riflessioni a caldo.
1. Sarebbe facile dare la colpa alla politica e a questo o a quell’altro personaggio (Trump, ad esempio). La realtà è che se le chiese non fanno le chiese (cioè catechesi e discepolato), la vita delle persone diventa un contenitore dove si formano miscele malsane, a volte tossiche.
Forse, più che additare pericoli esterni, le chiese evangeliche dovrebbero fare autocritica: stiamo insegnando l’evangelo? Stiamo praticando l’evangelo? Siamo una McChurch, MAGAChurch, Seeker-sentitiveChurch o siamo chiese evangeliche raccolte intorno alla Parola ascoltata e vissuta insieme? Se perdiamo i fondamentali della chiesa, l’abc, apriamo il fianco all’irruzione di apostasie varie.
Avere mega-chiese piene di attività o chiese ad ogni angolo della strada non è garanzia di autenticità evangelica. Non è nemmeno segno di vitalità evangelica. Per questo, va recuperata la dimensione della profondità del vangelo.
2. Se il termine evangelico è soggetto a perversioni di significato, è anche dovuto al fatto che non abbiamo stabilizzato abbastanza l’identità storica della fede evangelica.
Facciamo fluttuare il significato del termine nel vortice della contemporaneità e nella fiera dei personalismi, non agganciandolo alla storia. Se nelle chiese non coltiviamo la memoria evangelica, e cioè il fatto che la fede è biblica e dunque apostolica, protestante, risvegliata, e che ha un volto globale che non è principalmente “anglo-americano” o “occidentale”, la esponiamo a perturbazioni di venti contrari che la portano lontano. In questo senso, in Italia abbiamo risorse che non esistono (salvo errori) in altre regioni: i due volumi di Dichiarazioni evangeliche (1966-1996), a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 1997 e Dichiarazioni evangeliche II (1997-2017), a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 2018.
Queste risorse danno un’idea di come viene declinato il termine evangelico nel mondo, mettendolo al riparo da fughe in avanti o deviazioni rovinose. Assimiliamole e, nella misura del possibile, sosteniamo reti internazionali orizzontali che interpretano la testimonianza evangelica nel mondo (come l’Alleanza evangelica e il Movimento di Losanna).
3. Cosa verrebbe fuori se un sondaggio simile fosse fatto tra gli evangelici italiani? Se dovessimo chiederci cosa vuol dire essere evangelici oggi, quali risposte emergerebbero? Siamo sicuri che i risultati sarebbero molto diversi da quelli nord-americani? Se poi dovessimo interpellare un campione più grande, cosa verrebbe fuori? Cosa pensa la gente di noi? Tutti gli evangelici hanno dovuto fare i conti con l’essere scambiati per “testimoni di geova” o “evangelisti”.
Ora sono spesso associati alla destra americana. Non viviamo in un insieme vuoto e spesso dobbiamo misurarci con pregiudizi negativi. Questo per dire che la sfida di dare contenuti biblici e contorni difendibili alla parola “evangelico” è sia interna che esterna.