Se l’ateo militante Richard Dawkins diventa “cristiano culturale”

 
 

È stato lo spauracchio dell’ateismo militante dell’inizio del millennio. Col suo libro L’illusione di Dio nel 2006, il divulgatore scientifico Richard Dawkins aveva dato la stura ad un’onda di critica scientista al cristianesimo che ha avuto una certa eco nel dibattito pubblico, suscitando molte discussioni. Insieme ad autori diventati popolari come Sam Harris, Christopher Hitchens e Daniel Dennett, per una decina d’anni Dawkins ha sputato sentenze sul carattere illusorio della credenza in Dio, sulle presunte contraddizioni della fede cristiana e sulla (ai suoi occhi) patetica natura della psiche credente. In Italia, una eco dell’ateismo militante di provenienza britannica si è sentito in personaggi come Piergiorgio Oddifreddi e Telmo Pievani, con un divulgatore come Piero Angela a fare da cassa di risonanza alle loro tesi graffianti. 

Per parte cristiana, lo scienziato e teologo evangelico Alister McGrath, nel suo libro L’illusione di Dawkins (2007) aveva denunciato il fondamentalismo ateo di Dawkins mostrandone i pregiudizi anti-religiosi e l’approccio tutt’altro che scientifico.

Ora, la notizia è che Dawkins pare sia giunto a più miti consigli e abbia di molto smorzato la sua lettura demolitiva. In un’intervista ad un programma televisivo britannico, Dawkins si è detto impaurito della crescita dell’Islam in Europa e ha detto di preferire di gran lunga il cristianesimo come cornice culturale di riferimento per la vita sociale. Ha detto anche di avere una certa nostalgia per i canti di natale (i “carols” della tradizione britannica) e per le storie della fede cristiana. Ha anche detto di avere piacere nel vedere le chiese aperte, a memoria di un retaggio culturale che ha plasmato la nostra civiltà occidentale. 

Ma come? – si sono chiesti alcuni: l’ateo militante, il fondamentalista anti-cristiano, il demolitore della fede, lo sbeffeggiatore delle chiese che pensava che il cristianesimo non solo fosse inutile, ma anche dannoso, ora scopre che, in fondo, l’ateismo svuota la società di tutto e la destruttura in profondità, aprendola ad essere riempita da culture liberticide come l’Islam. Le conseguenze culturali dell’ateismo sono la distruzione della società e la spianatura della strada a ideologie totalitarie, religiose o secolari che siano. Dawkins fa intendere che occorre correre ai ripari e ristabilire una forma di “cristianesimo culturale”. Non è la fede cristiana professata e vissuta personalmente che interessa Dawkins, quanto i frutti culturali del cristianesimo che, insieme alla cultura classica e alla modernità, hanno plasmato le istituzioni, le costituzioni e i codici culturali dell’Occidente: la dignità della persona, la libertà di pensiero, la laicità, il pluralismo, lo stato di diritto, ecc.

Fa strano sentire Dawkins fare un’apologia del cristianesimo culturale, dopo che per decenni aveva scagliato frecciate avvelenate contro tutto ciò che sapeva di cristiano. Letta dall’Italia, questa parziale retromarcia di Dawkins assomiglia un po’ a quello che Benedetto Croce aveva scritto (da laico) nel 1942: “non possiamo non dirci cristiani”. Il punto è che anche per i non credenti, è meglio vivere in un contesto segnato dal cristianesimo anziché in uno caratterizzato da altre religioni o dall’assenza di religione.

Si badi bene: quella di Dawkins non è una conversione in senso biblico. Non c’è ravvedimento, non c’è fede in Gesù Cristo, non c’è avvicinamento alla comunità dei credenti. È semmai la riscoperta di una forma di “religione civile” di un ateo che si è reso conto che i frutti del cristianesimo siano migliori di quelli dell’ateismo. Anche per un ateo, è meglio vivere da “cristiano culturale” che da oppositore della fede. È meglio sapere che le chiese sono aperte (senza entrarci) che vederle demolite. È meglio avere intorno a sé una cultura intrisa di cristianesimo che difende le conquiste dell’Occidente che vedere picconare i suoi valori sotto la spinta di religioni oppressive o di ideologie dissacranti.

Ora che Dawkins si è aggiunto alla lista degli “atei devoti”, diventerà il Giuliano Ferrara o il Marcello Pera o il Diego Fusaro (per non dire il generale Vannacci) della Gran Bretagna? In ogni caso, il cristianesimo biblico ha poco a che fare con la religione civile di chi vuole i frutti senza il tronco, l’albero senza la radice, la religiosità altrui senza la fede personale, i codici culturali senza il Signore della vita, i valori senza la Bibbia.