Soul, il pantheon di spiritualità firmato Vaticano II

 
 

Chi l’avrebbe mai detto che la prima edizione di “Soul”, un festival di spiritualità si sarebbe tenuta proprio a Milano (13-17 marzo 2024), la città italiana che incarna la quintessenza del razionalismo e del materialismo? Si sono tenuti kermesse simili a Torino (Torino spiritualità) o a Vicenza (Festival biblico). Quando infatti si parla della città meneghina, purtroppo, è raro che il tema spirituale venga facilmente a galla. Con la sua operosità industriale e competenza finanziaria, che richiede risultati “tangibili” e “visibili”, poco spazio è lasciato a ciò che non si vede, ma che in realtà (appunto) è parte integrante della vita dell’uomo e di ciò che lo circonda. 

Se da una parte è interessante notare questo fenomeno, che (ri) getta luce sul bisogno e il desiderio dell’uomo irrequieto della post-modernità di conoscere e adorare il “dio sconosciuto” (At 17, 23), dall’altra, l’aspetto allarmante (ma non sorprendente) è che siano state l’Arcidiocesi di Milano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore a promuovere un festival “pantheon” dove rappresentanti di diverse religioni, filosofi, scrittori e artisti sono stati invitati a parlare di spiritualità e a suggerire molteplici vie per provare “meraviglia” (tema di questa edizione), sperimentare il “divino” e dare senso alla vita. 

È evidente che quest’iniziativa non sia altro che un’ulteriore palese incarnazione della teologia del Concilio Vaticano II, la quale ha allargato i suoi confini soteriologici, arrivando ad abbracciare “quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna” (Lumen Gentium, 16). 

Ecco, quindi, che l’uomo ingenerato diventa parte integrante (anche se misteriosa) della chiesa e guadagna un palcoscenico dove parlare e insegnare sull’anonima “sensazione” che ha del divino, senza però avere minima idea, o volendo ignorare, che la vera spiritualità è possibile solamente per mezzo della rigenerazione da parte dello Spirito Santo che tocca i cuori peccaminosi e apre le menti per amare e adorare il vero Dio in Gesù Cristo. Per la chiesa cattolica, ormai, tutti, indistintamente, sono benvenuti a parlare di spiritualità e a proporre una via per arrivare a Dio senza però conoscerlo veramente. Il cristianesimo proposto dalla chiesa di Roma non diventa altro che una delle tante “possibilità” e “vie” (forse la più intensa) per avvicinarsi a questo “Essere” e “Sentimento” sconosciuto, a quell’“Altro” rispetto all’uomo, comunque esperibile anche in altre tradizioni religiose.

Per descrivere questo atteggiamento, qualcuno ha parlato di “turbo-cattolicità”. In effetti, la cultura cattolica sta investendo massicciamente nell’apertura massima della maglie dell’inclusione nel segno della comune e trasversale spiritualità. Ma a quali costi biblicamente veritativi?

È come se all’Areopago, Paolo, dopo aver parlato agli ateniesi della statua dedicata al dio sconosciuto, avesse continuato il discorso invitando gli astanti a proporre le loro filosofie come vie legittime per conoscere quest’entità ignota senza però polemizzarle alla luce del messaggio del vangelo. Come credenti, siamo invece chiamati a riconoscere che l’uomo è un essere spirituale, che però vaga come a tastoni nella cecità del suo peccato e che necessita di credere in Gesù Cristo e nel suo sacrificio in quanto unica via per adorare il Padre in spirito e verità (Gv 4,23).