Testimoni oculari del Natale (II). Elisabetta e la rivelazione che rende umili
Chi può parlare del Natale meglio di chi lo ha visto in prima persona? Perché non dare la parola ai testimoni oculari della nascita di Gesù? Con un esercizio di sana immaginazione, proviamo a farlo. Lasciamo raccontare a Giuseppe, a Elisabetta, ai magi e ai pastori il natale che testimoniarono, affinché attraverso il loro racconto esso si ravvivi e cambi la vita di molti.
La testimonianza di Elisabetta è basata su Luca 1,39-45
Ero sola in casa, immersa nei miei pensieri e nel silenzio che accompagna chi, come me, aveva passato molti anni nel desiderio di un figlio. Ancora mi stupivo quando mi svegliavo la mattina e sentivo il peso e il movimento della vita che cresceva nel mio grembo. Io, Elisabetta, che ero stata sterile per così tanto tempo, ora portavo in me un bambino per il quale avevo pregato con lacrime e dolore, accettando a volte anche l’idea che il mio grembo sarebbe rimasto per sempre vuoto.
Zaccaria, mio marito, continuava il suo silenzio misterioso. Da quando era tornato dal tempio non aveva più detto una parola, ma i suoi occhi parlavano per lui e comunicavano stupore e incredulità, ma anche una gioia trattenuta. Sapevo che anche il suo silenzio era un segno e una prova: Dio stava compiendo qualcosa di grande, qualcosa che andava oltre noi stessi.
Quel giorno, mentre sistemavo alcune cose in casa, udii dei passi veloci avvicinarsi. Mi emozionai perché riconobbi subito quel modo di camminare, quel ritmo giovane e leggero. Maria, la mia amata cugina mi era venuta a trovare. Non sapevo ancora cosa l’avesse portata da me così in fretta, né perché avesse percorso un intero viaggio da sola, attraversando colline e strade per raggiungere la mia casa. Sapevo però che veniva con qualcosa nel cuore, qualcosa che l’aveva spinta a cercarmi.
Appena aprii la porta, il suo giovane volto apparve davanti a me. E fu in quel momento che tutto cambiò. Maria mi salutò e subito il bambino nel mio grembo sussultò. Non era un semplice movimento, ma un balzo, una sorta di esultanza. Nello stesso istante, qualcosa di più grande di me mi toccò il cuore. Un’ondata di consapevolezza, una luce improvvisa dentro l’anima. Lo Spirito di Dio si posò su di me, riempiendo ogni pensiero e emozione.
Ed ecco che le parole fuoriuscirono dalla mia bocca, non dalla mia logica né dalla mia età, ma da una rivelazione che veniva da Dio stesso. Guardai Maria e mi resi conto che il suo giovane grembo custodiva qualcuno di unico. E allora, con voce piena di emozione, pronunciai ciò che lo Spirito Santo mi mise sulle labbra: “Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno!”
Ricordo il volto di Maria che cambiava mentre parlavo. Era sorpresa, quasi turbata, come se quelle parole confermassero qualcosa che lei stessa non aveva ancora compreso completamente. Così come Maria era rimasta sorpresa, anche io lo fui appena mi resi conto delle parole che uscirono subito dopo dalla mia bocca: “Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me?”
La madre del mio Signore. Non avrei potuto scegliere parole più audaci. Io, una donna avanti negli anni, rivolgevo quel titolo a un bambino non ancora nato. Un bambino nascosto nel ventre di una giovane ragazza della mia famiglia. Non ero io a parlare, ma lo Spirito che mi rivelava ciò che nessuna logica umana avrebbe potuto suggerire.
In effetti, a ben guardare, tutto avrebbe dovuto condurmi a una reazione diversa. Anzi, opposta. Io, anziana e finalmente gravida dopo anni di sofferenza, vergogna e preghiere, avrei avuto ogni motivo per sentire un filo di gelosia verso quella ragazza così giovane, così apparentemente favorita da Dio. In una cultura in cui la fecondità era segno di benedizione, e la sterilità quasi una colpa, quanti sguardi avevo sopportato nel corso della mia vita? Quante dicerie velate? quanti sospiri di pietà?
Eppure, davanti a Maria non sentii nulla di tutto questo. Nessun risentimento, nessun confronto, nessun senso di inferiorità o amarezza. Anzi, provai un’umiltà così profonda da sorprendermi. Lo Spirito Santo mi aveva mostrato ciò che gli occhi non avrebbero mai potuto vedere: quel piccolo che Maria portava era il Signore, il compimento delle promesse antiche, la speranza di Israele, il Salvatore del mondo.
E io, una semplice donna di Giuda, avevo il privilegio di riconoscerlo per prima, mentre ancora pochi sapevano della sua venuta. Guardai Maria e vidi nei suoi occhi una domanda: “Come hai fatto a sapere?”. Allora risposi con parole che provenivano dalla pace che Dio mi dava: “Beata colei che ha creduto, perché le cose dette da parte del Signore avranno compimento.”
In quel momento le nostre vite si intrecciarono in un modo nuovo. Due donne, due grembi miracolosamente abitati, due storie che si incontravano per annunciare l’opera di Dio. E ancora oggi, ricordando quel giorno, sento dentro di me lo stesso brivido. Non fui io a riconoscere il Signore: fu Lui a farsi riconoscere attraverso lo Spirito che mi riempì, illuminando la mia mente e guidando le mie parole.
Della stessa serie:
“I testimoni oculari del Natale (I). Giuseppe e la rivelazione che rasserena” (17/12/2025)