Traffic (I). Come funziona l’informazione contemporanea

 
 

“Contenuto virale”, “la mia bolla social”, “l’algoritmo mi mostra…”, “un nuovo trend”, “un nuovo meme”… sono tutte espressioni che usiamo quotidianamente quando ci riferiamo ai contenuti informativi che consumiamo. Abbiamo un certo grado di familiarità con questi concetti, eppure abbiamo l’impressione che ci sfuggano. 


Che cosa sono questi algoritmi? Chi misura questo traffico? Chi delinea i confini della mia bolla social? Perché il giornalismo a cui sono esposto è così scadente? La velocità, i ritmi di consumo, la dittatura del clic, come si sono insediati nella nostra quotidianità? 


Ben Smith, uno tra i più famosi media journalist americani, con il suo libro Traffic. La corsa ai clic e la trasformazione del giornalismo contemporaneo, Milano, Altrecose 2024, ripercorre la storia di quello che è successo negli ultimi venticinque anni al giornalismo digitale. Lo fa attraverso i volti e le storie personali dei personaggi che, dai primi anni duemila, affollando gli uffici delle startup a Palo Alto, o muovendosi nella cerchia dei futuristici blogger newyorchesi, hanno colto le sfide del tempo, le opportunità offerte da internet, e le hanno cavalcate con un certo grado di spregiudicatezza fino a cambiare non solo il mondo di internet, ma la società. 


Il racconto è avvincente e inquietante allo stesso tempo. Se non fosse realtà sembrerebbe una distopia. O meglio, un’utopia che si realizza e si schianta contro i suoi stessi limiti. È così radicato nella cultura americana che, dall’Italia, si fa quasi fatica a comprenderlo. Eppure, sembra importante leggerlo perché, tutto quello che viviamo anche nel nostro paese, è stato deciso dall’esasperato entusiasmo di brillanti giovani americani, che nei primi anni duemila inseguendo il traffico, e di conseguenza il flusso dei soldi, hanno cambiato il corso della storia. 


L’industria dell’informazione, infatti, è stata l’unica che in soli venti anni ha dovuto cambiare tutto, dal prodotto stesso ai modelli di business, dal pubblico a cui si rivolge alla tecnologia usata, dal mercato al quadro regolatorio. Tutto questo non è accaduto per caso, ma qualcuno ha guidato il processo. 


Jonah Peretti, fondatore di BuzzFeed, e Nick Denton, fondatore del primo macro-gruppo imprenditoriale di blog, sono i volti principali scelti da Smith per raccontare questa storia. 


Il primo, un brillante studente a metà tra un tecnico informatico e un filosofo, nel 2001 si rende conto che alcuni contenuti su internet girano in maniera veloce, generano un passaparola virtuale che fa arrivare tante richieste di accesso ai server che ospitano quel contenuto. Peretti si ossessiona quindi alla ricerca dei motivi che generano traffico e cerca di comprenderne i meccanismi, di misurarlo e renderlo remunerativo. Lo fa con la tecnologia che a mano a mano perfeziona. Quando Facebook dal 2008 diventa la prima piattaforma social in assoluto, Peretti è pronto. Ha un sito che genera quiz, meme, pseudo-notizie che, come unico scopo, hanno quello di attrarre i click. Il traffico che i contenuti inconsistenti del suo sito generano è impressionante e Facebook deciderà che questo tipo di contenuti è quello che i suoi utenti visualizzeranno di più sui loro feed.


Nel frattempo, Denton, giornalista ebreo-britannico, capisce che il giornalismo tradizionale è in difficoltà. Le persone non comprano più i giornali cartacei e non vogliono più una comunicazione delle notizie imbalsamata, retorica, distante. Costruisce decine di blog con regole chiare. I blogger, pagati per scrivere post, devono scriverne molti e spingere la gente a tornare sul sito, pubblicare tutta la “verità” e sovraesporsi raccontando il più possibile di sé stessi. La “verità” è una serie infinita di scoop, di nudi, di gaffe, di scene intime rubate che nessuno si fa scrupolo di pubblicare.


I due esperimenti a livello economico funzionano come un pozzo di petrolio che sembra infinito. I contenuti virali però sono fondamentalmente spazzatura. Il traffico è generato da contenuti scurrili, volgari, voyeuristici, polarizzanti, divisivi, capaci di suscitare rabbia e indignazione. 


Chi era al timone di questi processi però non vede i pericoli all’orizzonte e crede che il web sia fondamentalmente popolato da giovani visionari istruiti e progressisti (così come nella Silicon Valley) che avrebbero consumato questi contenuti senza conseguenze.


Obama è il primo politico ad intuire le potenzialità del traffico online e costruisce la sua campagna elettorale facendo largo uso dei social media. Verrà eletto nel 2009, ma nel frattempo la corsa al traffico diventa sempre più spietata ed i social cambiano anche il modo di fare politica. 


Due concetti infatti ridefiniscono le ricerche di Peretti, che intanto aiuta anche Facebook a rimodulare i suoi algoritmi, e sono: la polarizzazione e l’engagement. Ad andare virali sono i contenuti che definiscono l’identità degli utenti, quelli che polarizzano l’opinione pubblica e quelli che, suscitando reazioni emotive forti, inducono a commentare, condividere, interagire. 


Pubblicare questo tipo di contenuti è il nuovo imperativo per chi vuole spopolare su internet. Il libro individua una data spartiacque: il “più grande giorno di internet”. È il 26 febbraio 2015, quando il sito BuzzFeed pubblica la foto del celeberrimo vestito che alcuni vedono bianco e oro e altri blu e nero. Probabilmente abbiamo ricevuto tutti un messaggio con quella foto o abbiamo commentato un post su Facebook con il quesito “di che colore è?”.  Un post stupido e irrilevante, eppure capace di generare un traffico globale smisurato, tanto che Facebook credette di non riuscire a tenere sotto controllo la situazione. 


La soluzione adottata dal social fu quella di creare algoritmi che avrebbero proposto contenuti ai singoli individui in base a linee guida più ristrette. Insomma, ognuno sarebbe rimasto nella sua bolla visualizzando contenuti di proprio interesse che rafforzassero la propria identità e le proprie convinzioni. Nessun contenuto infatti ha mai più raggiunto la viralità di quel singolo post su BuzzFeed.


Intanto internet non era più solo appannaggio dei giovani e chiunque aveva cominciato a formare le proprie idee, anche politiche, sui social. Secondo l’autore è così che si è arrivati all’elezione di Trump: il più virale personaggio politico mai esistito, capace di suscitare indignazione nei suoi detrattori (traffico) ed engagement nei suoi ammiratori (traffico). 


Intanto però, seppur con un po' di ritardo, i media tradizionali avevano fatto il loro ingresso su internet. Esperienze come quella del New York Times hanno spinto tutti a riflettere nuovamente sull’importanza della qualità dei contenuti e a restare entro certi limiti. Oggi i primi contenuti pubblicati dai blog di Denton sarebbero infatti illegali e non a caso la società non esiste più. Nonostante la chiusura di tutti quei blog legati alla sola idea del traffico, l’impronta al clickbait è rimasta. Anche i siti di giornalismo più autorevole hanno ancora una striscia di non-notizie che attirano l’attenzione dei lettori.


Smith scrive da insider e, da perfetto esponente della cultura americana, parla di “noi e loro” come mondi diversi e che non si incontrano mai quando si riferisce ai progressisti e ai conservatori, identificandosi con i primi.


Non muove critiche, ma parla dell’ingenuità di chi deteneva gli strumenti del traffico e non ha visto arrivare il nazionalismo, il sovranismo, il razzismo di ritorno, i complottismi che si polarizzavano, aizzavano e accrescevano sui social. In realtà la polarizzazione e l’esasperazione della matrice identitaria delle bolle ha anche fomentato il fenomeno woke e le degenerazioni di un pensiero ritenuto liberal. Non ci sono fazioni politiche o ideologiche che non abbiano cavalcato l’onda del traffico e non abbiano cercato di utilizzarlo a proprio favore. 


Il libro si conclude con l’assalto al Congresso come punto di non ritorno in cui la polarizzazione virtuale si traduce in azione reale con conseguenze sugli equilibri interni di un paese e globali. Quanto descritto per la società americana trova ampio riscontro nel resto del mondo, dove i modelli di business alla ricerca del traffico sono stati replicati senza troppe remore e pone domande sull’uso e sul consumo dei mezzi di informazione digitale.


I protagonisti dello sviluppo dell’informazione digitale hanno seguito un paradigma preciso: soldi, potere, influenza/controllo; gli idoli del nostro tempo e del cuore dell’uomo in seguito alla caduta. Domanda: per un’iniziativa di informazione evangelica è possibile pensare ad un paradigma diverso che delinei il tracciato da seguire? In altre parole, è possibile pensare ad una comunicazione/informazione che sia regale, sacerdotale e profetica? Quali sono le sfide da cogliere? Quali i campi di applicazione? 


(continua)