Quel mappamondo a forma di giubbino. Un ricordo di George Verwer (1938-2023)

 
 

Il suo giubbino era un programma di vita. Aveva stampigliato un mappamondo che lo fasciava e che immancabilmente portava con sé. Chiunque abbia incontrato George Verwer negli ultimi trent’anni in occasione di conferenze o incontri vari, lo ricorda così: col suo giubbino-mappamondo indossato mentre sollecita preghiere per l’India, per le navi missionarie, per i progetti evangelistici nelle aree più sperdute e difficili. Quel giubbino rappresentava la sua ragione di vita. C’erano il mondo, i continenti, i mari, le nazioni, i popoli, nella loro diversità e complessità. Evocava un Dio missionario il cui interesse era ed è per tutte le genti. Richiamava la responsabilità della chiesa ad andare sino alle estremità della terra e a pregare per il mondo intero. In qualche modo, quel mappamondo era George Verwer: uno stravagante leader missionario che ha segnato la storia delle missioni evangeliche nella seconda metà del Novecento. 

Originario del New Jersey, Verwer ebbe un’esperienza di conversione a 16 anni (era il 1954) quando partecipò ad una campagna evangelistica di Billy Graham, il più grande evangelista della storia contemporanea. Quell’anno 200 dei suoi compagni di liceo si convertirono a Cristo. Si può dire che quella stagione (revivalistica, attivistica, evangelistica) segnò la sua vita. A 19 anni fece il suo primo viaggio missionario in Messico insieme ad un gruppo di coetanei. Dopo il diploma, fu la volta dell’Europa, prima in Spagna poi in Unione Sovietica dove venne arrestato ed espulso perché sospettato di essere una spia (erano gli anni della guerra fredda). Dopo l’Europa, visitò l’India. Nel 1963 fondò Operazione Mobilitazione, un’agenzia evangelica che interpretava il fervore di quei decenni: centinaia di giovani, prima americani poi da ogni parte del mondo, iniziarono a dedicare chi un’estate, chi periodi più lunghi per formare piccoli gruppi itineranti che visitassero vari Paesi europei (tra cui l’Italia) ed il subcontinente indiano per evangelizzare tramite la distribuzione di vangeli, libri ed opuscoli. Migliaia di giovani evangelici di allora fecero un’esperienza missionaria indelebile. La missione diventava “popolare”, non più appannaggio di pochi, ma una chiamata a cui tutti potevano rispondere personalmente e concretamente.

Nel 1970 Operazione Mobilitazione acquisì la prima nave missionaria: la Logos. Verwer si convinse della potenzialità non solo dei gruppi a terra, ma anche di avere navi dedicate alla diffusione dell’evangelo. Interpretando la missione in modo creativo e visionario, le navi di OM spostarono i confini della missione ai porti e ai Paesi difficilmente raggiungibili altrimenti. Dal 1977 la Logos fu affiancata dalla seconda nave, la Doulos. Nell’immaginario evangelico, le “navi di OM” hanno rappresentato il volto avventuroso, a tratti esotico, certamente radicale della missione evangelica: un fiore all’occhiello per cui provare un’autentica fierezza. “Le navi di OM” sono state anche il simbolo di un ministero evangelico ambizioso, ma bottom-up, oggi si direbbe crowd-funded, cioè sostenuto da migliaia di piccoli doni di chiese ed individui sparsi dappertutto. Mentre il mondo conosceva i fermenti la decolonizzazione, le navi incrociavano i Paesi emergenti portando le istanze dell’evangelo biblico. Anche OM si internazionalizzava diventando specchio dell’evangelismo globale.

Erano ormai vent’anni che Verwer non aveva più responsabilità dirette nella conduzione della missione. Nel 2003, infatti, aveva lasciato i ruoli operativi ad altri. Tuttavia, Verwer non diventò pensionato. Non era nella sua indole: per certi versi Verwer è sempre stato “giovane” o meglio giovanile: esile, scattante, sempre in movimento, per certi versi eccentrico, con cento progetti in testa e mille relazioni attive. La sua energia fu più intenzionalmente dirottata nella sensibilizzazione alla preghiera, alla missione, alla consacrazione a Dio. Iniziò la stagione del giubbino-mappamondo che Verwer portò in centinaia di conferenze in giro per il mondo a rappresentare plasticamente, sul suo corpo, le istanze della missione globale. Quel mondo che lui aveva visitato, amato, evangelizzato ora era riprodotto sul giubbino come segno di un cristianesimo attivo, radicale, in un certo senso evangelicamente “rivoluzionario”. 

Verwer ha interpretato una stagione che ha saputo intrecciare l’idealità e la radicalità dei “Jesus people” degli Anni Sessanta-Settanta, la “semplicità” del messaggio evangelico ereditato da Billy Graham, l’attivismo della miglior cultura nordamericana, la tensione alla globalità dei giovani usciti dalla Seconda guerra mondiale, la capacità di coinvolgere dal basso migliaia di chiese appartenenti a tutto lo spettro del mondo evangelico. Lo Spirito Santo ha fuso tutto questo in modo sapiente e Verwer ne è stato un interprete ammirevole.

Parte dell’energia di Verwer ha impattato anche l’Italia evangelica. Aveva molti amici ed estimatori anche qui. Il suo nome è conosciuto trasversalmente ed è stato in genere considerato una garanzia di evangelicità vissuta nella missione. Anche l’Italia era parte del suo giubbino. Anche da noi ci sono molte persone che, ricordando la vita di George Verwer, ringraziano Dio e desiderano essere protagonisti di quel giubbino-mappamondo che lui ha vestito con passione per tutta la sua lunga vita. Forse non ci sono più personalità simili a Verwer, ma il suo giubbino rimane una pietra miliare per non deflettere dall’impegno per Dio e per il suo vangelo. Ora che lui non c’è più che lo indossa, nessuno lo metta nell’armadio.


Libri di George Verwer disponibili in italiano:
L’evangelizzazione attraverso la stampa, Napoli, Centro biblico 1963.
Rivoluzione di amore e di equilibrio, Firenze, CLC 1982.
Avanti per grazia nonostante le nostre debolezze, Asti, OM Italia 2020.