Brandizzo è uno spaccato dell’Italia marcia

 
 

La tragedia che ha visto morire 5 operai investiti da un treno merci nei pressi della stazione di Brandizzo (TO) ha giustamente suscitato clamore ed indignazione. I sindacati si sono mobilitati, l’opinione pubblica si è scandalizzata, la politica si è impegnata a impedire che stragi sul lavoro accadano ancora.

La cronaca di questi giorni riferisce i dettagli di quello che è accaduto: una concatenazione di superficialità nei comportamenti, infrazione di processi, furbizie elevate a virtù, strutturali piaghe nel mercato del lavoro, ecc. In un certo senso, ognuno di questi anelli e tutti questi presi insieme, riflettono pratiche molto diffuse nel nostro Paese. Forse vale la pena soffermarsi su alcuni di loro, non gli unici e non in ordine di importanza, per fare una riflessione su tratti incistiti nei nostri comportamenti malsani, particolarmente diffusi nella cultura italiana.

Mancato rispetto delle direttive, per affermare le proprie. Da quanto emerge dalle cronache, la responsabile della Rete ferroviaria aveva negato il permesso alla squadra di operai di iniziare i lavori quella sera in quanto era previsto il passaggio del treno. Per ben tre volte l’ordine di non procedere era stato ripetuto. Eppure il capo-squadra non ha tenuto conto di quel divieto e ha disposto che gli operai si recassero sulle rotaie. Domanda: ma le direttive sono suggerimenti o linee di comportamento da seguire? Se esiste una responsabilità di chi prende decisioni, non ne esiste anche una di chi le deve eseguire? Perché vogliamo tutti essere “capi” mettendo in discussione i ruoli altrui?

Eccessiva fiducia nella propria furbizia, fuori dalle regole. Dopo aver fatto iniziare i lavori sul binario alla squadra, sapendo che il treno sarebbe prima o poi passato, il capo-squadra avrebbe detto: “vi avviso io quando passa il treno. Se dico ‘treno’, allontanatevi dal binario”. Tragicamente, quella parola non è stata detta in tempo e, quando il treno è arrivato nel buio, ha travolto gli operai che erano sui binari. Il capo-squadra aveva disatteso la direttiva di non iniziare i lavori e aveva pensato di affrontare il passaggio del treno con una furbata: un avvertimento vocale da parte sua (che non è arrivato perché non si è accorto dell’arrivo del treno). Domanda: perché voler affrontare le situazioni con le proprie furbizie invece di farlo nel rispetto dei protocolli previsti? Perché ci sentiamo superiori agli altri e così furbi da poterla sempre sfangare??

Strutturali piaghe del mercato del lavoro, dentro l’idolatria del denaro. Si è scoperto che le squadre per la manutenzione dei binari appartengono a società che spesso fanno lavorare gli operai in queste condizioni: senza protezioni, in mezzo al traffico ferroviario, in perenne rischio di finire sfracellati come i 5 di Brandizzo. Quello che è successo la settimana scorsa non è un episodio isolato, ma una modalità diffusa. Perché? Perché pagare gli operai è un “costo” che deve essere contenuto al massimo e quindi le misure di sicurezza vanno limitate e, anzi, messe da parte per non intaccare i bilanci. Inoltre, le cronache riferiscono il fatto che queste mansioni non possono essere svolte da operai generici, ma specializzati. Eppure, molti lavoratori impiegati in queste squadre sono generici. Perché? Perché costano meno. Torniamo al punto di partenza. Tutto deve essere piegato alle esigenze di bilancio; anche la dignità e la sicurezza dei lavoratori devono essere sacrificate all’altare del profitto.

Brandizzo è l’Italia, in un certo senso siamo tutti noi: irrequieti, furbi, avidi. Non è solo il problema del capo-squadra, ma dei nostri cuori. Quante Brandizzo viviamo tutti giorni? Non nei suoi esiti tragici, ma nei suoi processi malati?

Molti invocano giustizia per le vittime e per le loro famiglie. Giusto. Eppure, vera giustizia non verrà solo da un tribunale italiano, ma da una stagione di riforma dei cuori che introduca ad una cultura della responsabilità per sé e per gli altri, del rispetto delle regole anche quelle che non ci piacciono e della messa in discussione del culto del dio denaro.