Canterbury ha una arcivescova. E ora?
Con quali criteri un ateo professo come il Primo Ministro britannico (Keir Starmer) e un re pan-religioso professo come il Re (Carlo III) hanno scelto il nuovo arcivescovo di Canterbury, dopo aver ascoltato un consesso di dignitari ecclesiastici la maggioranza dei quali è di orientamento teologicamente liberale?
Dopo la designazione di Sarah Mullally a primate della Comunione anglicana, i criteri sono diventati chiari. Eccoli: 1. spingere (anche se in modo soft) l’acceleratore sul “cambiamento” in senso liberale; 2. fare una mossa per scuotere l’ambiente e per provare ad invertire il rapido declino.
In che senso? Tre brevi considerazioni.
Hanno scelto una donna. Per la prima volta nella storia della chiesa anglicana, l’arcivescovo sarà una donna. Nel 1992 furono ordinate le prime donne, ora una donna diventa arcivescovo. La designazione indica la volontà di affermare nel modo più incontrovertibile possibile la possibilità, l’opportunità e la convenienza di avere donne nel ruolo di pastore, anche ai vertici delle istituzioni ecclesiastiche.
Gli egualitaristi applaudiranno, i complementaristi (e pare siano la maggioranza degli anglicani nel mondo) mugugnano: d’altra parte, una volta imboccata la strada del riconoscimento del pastorato femminile, chi può fermarlo?
Hanno scelto una personalità senza un solido profilo teologico. Mullally viene dal mondo delle professioni infermieristiche dove ha rivestito ruoli manageriali per poi passare alla carriera ecclesiastica, ma non pare avere un titolo accademico in teologia degno di nota. Non sembra nemmeno che eccella come predicatrice. Non pare vi siano scritti a lei attribuibili. Insomma, anche se è stata vescovo/a di Londra, non ha lasciato tracce del suo percorso teologico. Forse ciò indica la volontà di chi l’ha designata di de-teologizzare i dibattiti in corso e dare loro un’impronta umanistica, sociale, solidale, inclusiva, lasciando da parte le questioni dottrinali. O meglio: affrontarle senza dare l’impressione di darvi troppa importanza.
Ha scelto una leader soft sui temi sensibili in agenda. Pur non avendo scritto molto di teologicamente significativo, Mullalay ha sempre sostenuto le scelte “liberali” della chiesa d’Inghilterra negli ultimi decenni: pro-scelta sull’aborto, pro-nozze gay, pro-istanze della comunità lgbtq+, per l’inclusione nella chiesa di tutte le posizioni teologiche ed etiche, anche quelle tradizionalmente eterodosse. È chiaro che la direzione di quella chiesa non cambierà rispetto agli anni del precedente arcivescovo, Justin Welby; anzi forse vedrà accelerate quei cambiamenti osteggiati dall’ala evangelicale della chiesa.
Quali sono state le reazioni del mondo anglicano evangelico? Numerose e variegate, toccando diverse sfumature. Le riviste online Evangelicals Now e The Gospel Coalition hanno dato voce a diversi commenti. C’è chi ha detto che la designazione del nuovo arcivescovo è ininfluente in quanto la comunione anglicana è già spaccata e anche la chiesa d’Inghilterra è ormai spezzata. Mullallay non cambierà niente di questa situazione, anzi esaspererà le divisioni già in atto. Altri hanno espresso perplessità per la sua scarsa preparazione teologica che la rende un candidato inadeguato al ruolo. Altri ancora la valuteranno in base agli atti che compirà.
Chi (come me) è fuori dalla cultura anglicana arriva fino ad un certo punto nel decifrare una chiesa che porta il nome di un Paese (Chiesa dell’Inghilterra, Chiesa del Galles) e la cui organizzazione è una mescolanza di uffici religiosi e civili/politici. Ancora più difficile è capire la natura a fisarmonica della compagnia anglicana mondiale che porta questo nome avendo però allentato i legami con Canterbury, anzi vivendoli oggi in modo ostile.
Fatto sta che, guardando le cose con l’ottica del lungo periodo, la trasformazione della chiesa d’Inghilterra in un involucro tanto “accogliente” nella retorica quanto “vuoto” nella sostanza (i numeri sono crollati) è un processo che la nomina della prima arcivescovo donna non sembra potrà arrestare.