Fede e cibo (IV). Il cibo specchio della comunità

 
 

Viviamo in un’epoca segnata dalla proliferazione dei Masterchef, di Cannavacciuolo che prende a sberle i cattivi cuochi, del cibo come fonte primaria della propria identità. “Noi siamo ciò che mangiamo” è una citazione di Feuerbach che si può ascoltare praticamente in ogni dove.

Ecco che parlare di cibo in un convegno di teologia non è un affare cool, un modo per entrare in questo marasma e racimolare un po’ di credibilità. Tutt’altro. Una visione biblica della realtà pretende che tutto appartenga a Dio e che la Bibbia abbia qualcosa da dire su ogni ambito dell’esistenza, cibo e alimentazione compresi. All’interno della 35ma edizione delle Giornate Teologiche, tra l’altro, si è tenuto un dialogo tra Michael Brown (Chiesa riformata Filadelfia di Novate M.) e Sergio De Blasi (IFED). L’oggetto delle loro relazioni ha riguardato come cibo sia legato al concetto di comunità. 

Senza avere la pretesa di sviluppare una teologia biblica del cibo Micheal Brown ha cercato di scomporre il suo pensiero in tre punti: per mezzo del cibo, Dio ci mostra il nostro bisogno di Lui, il nostro bisogno gli uni degli altri e il nostro bisogno di Cristo. Nella creazione Dio crea un essere che ha fame. L’uomo deve mangiare e Dio prepara un giardino che possa fungere per lui da nutrimento. Citando Wirzba[1] ricorda che “ogni volta che le persone vengono alla tavola, dimostrano con le prove inconfondibili del loro stomaco che non sono autosufficienti”. In altre parole con il cibo ci ricordiamo che non siamo autosufficienti e che dipendiamo da Dio. Attraverso il Salmo 104 capiamo che il cibo non è semplice nutrimento, ma anche fonte di gioia. Dunque, il cibo come nutrimento e fonte di gioia e come promotore di comunità. Nel suo secondo punto Brown apre al concetto di relazione con la Trinità sullo sfondo. Afferma infatti che condividere un pasto è un’occasione semplice ma sacra, poiché è un’espressione d’amore e un’opportunità per entrare nella vita comune. Infine l’opera di Cristo compie tutto questo e la sua persona è la base fondamentale per la nostra comunione. La nostra comunione con il corpo ed il sangue del Signore Gesù e all’interno della chiesa.

Sergio De Blasi ha invece ricordato come nella Bibbia il pasto non sia mai qualcosa di individualistico (Matteo 8,11). Il suo intervento si è concentrato sulla domanda “cosa intende la Bibbia per comunità?”. Innanzitutto il popolo di Dio è voluto da Dio. Dall’Eden al banchetto nuziale di Apocalisse i pasti sono sempre legati alla storia della redenzione ed all’interno di un quadro comunitario. Essi richiamano all’unità, come l’unità della sposa che è una. Per cui il pasto ha senso in forza esclusivamente dell’unica e immutabile volontà di Dio Padre. In secondo luogo la comunità è riconquistata da Dio. De Blasi ricorda il banchetto di Nabal in 1 Samuele 25,36. Si dice infatti che stesse facendo un banchetto da re. Non è altro che uno scimmiottare colui al quale avrebbe dovuto offrire quel banchetto, ovvero Davide. Si capisce che non ogni pasto è secondo Dio. Nell’ottica della comunità riconquistata le festività e le sante convocazioni sono le espressioni sulla base di tale riconquista, ovvero il patto, l’alleanza. L’ultima cena si apre con il vivo desiderio di Gesù di gustare questo pasto con i suoi discepoli (Luca 22,15), lui desidera questa alleanza e la porta a compimento. Infine la comunità è guidata da Dio. De Blasi ha parlato di una pneumatocrazia, ovvero il governo dello Spirito Santo. Non è il cibo che sugella, ma lo Spirito.

Se nell’eucarestia cattolica il pane e il vino sono il mezzo che genera automaticamente, meccanicamente, la comunità, vincolando lo Spirito, la Scrittura ci parla di tutt’altro. Da qui la domanda di De Blasi: “è il cibo a creare la comunità?” No, il cibo in sé per sé non ha questa forza ma certifica, certifica e rafforza la comunità che esiste in forza della volontà di Dio Padre, per l’opera del Signore Gesù Cristo, e attraverso il suggello e la guida dello Spirito Santo.

Le tavole diventano quindi avamposti per mettere in luce o smascherare la nostra confessionalità.

(continua) 

Della stessa serie:
Fede e cibo (I): “Just follow the food” e le Giornate teologiche 2023
Fede e cibo (II): una teologia biblica del pane e del vino
Fede e cibo (III): perché il Levitico proibisce di mangiare alcuni animali?

[1] Norman Wirzba, Food and Faith: Atheology of Eating, Cambridge, Cambridge University Press 2011.