John Henry Newman “dottore” della chiesa. L’atto teologico più significativo di Leone XIV (sin qui)

 
 

È uno dei primi atti teologicamente significativi del papato di Leone XIV e ha un valore simbolico di un certo peso. Per questo deve essere appuntato. Si tratta del conferimento del titolo di “dottore della chiesa” a John Henry Newman (1801-1890).

Il titolo è un riconoscimento di autorevolezza e l’indicazione che l’opera del “dottore” (che prima di essere dichiarato tale è stato riconosciuto come “santo”) è una fonte di ispirazione importante per il cattolicesimo. 


La chiesa cattolica riconosce 38 dottori della chiesa (tra cui quattro donne): dai padri antichi e medievali come Agostino a Tommaso d’Aquino, dall’antiprotestante Roberto Bellarmino al paladino della mariologia barocca Alfonso de’ Liguori.

La lista dei dottori è specchio della cattolicità di Roma: la sua volontà di abbracciare l’occidente e l’oriente, i teologi e i mistici, l’antichità e la modernità. Il cattolicesimo romano è un formidabile aggregatore religioso e i suoi “dottori” sono tutti tessere del suo puzzle teologico. L’ultimo dottore ad essere riconosciuto è John Henry Newman. Perché Newman?


Ecco due ragioni possibili.


1. Newman è un “convertito” dall’anglicanesimo. In gioventù era stato anglicano (con qualche inclinazione “evangelica”), poi studiando lo sviluppo dei dogmi a modo suo (celebre è il suo saggio Lo sviluppo della dottrina cristiana [1845], Milano, Jaca Book 2003) arrivò alla conclusione che il cattolicesimo romano (incluso il Concilio di Trento e i dogmi mariani) fosse il cristianesimo apostolico e la chiesa di Roma la vera chiesa. In seguito, divenne prete, venerato teologo cattolico e cardinale di Santa Romana Chiesa. Celebre è la sua frase che è diventata uno dei mantra dei convertiti dal protestantesimo al cattolicesimo: “l’essere profondi nello studio della storia equivale a non essere più protestanti” (p. 47).

Va detto che la sua esperienza religiosa precedente non è mai stata incentrata sul riconoscimento dell’autorità suprema della Scrittura e sulla giustificazione per sola fede. In altre parole, non è mai stata pienamente evangelica. Inoltre, la sua teoria dello sviluppo del dogma presuppone l’infallibilità di Roma ma non la prova.


Detto questo, la biografia di Newman incarna quella di un convertito al cattolicesimo per cui il protestantesimo è infantile dal punto di vista teologico e privo di memoria storica: il cattolicesimo, invece, racchiude la pienezza e la ricchezza della fede. Molte storie di conversione a Roma hanno trovato in Newman un modello.


E’ già considerato patrono degli anglicani diventati cattolici romani. Ora che è proclamato dottore, sarà forse perché Leone XIV lo vuole presentare come modello per i protestanti affascinati dalla “grande tradizione”? Prima di Newman, papa Francesco aveva conferito il titolo onorifico di “dottore” a Ireneo di Lione.

Così facendo, il cattolicesimo si era appropriato di un grande padre della chiesa, stimato anche dagli evangelici per la sua dottrina trinitaria della creazione. Ora, con Newman “dottore”, vuole indicare la via cattolica nel leggere i Padri ed addentrarsi nella Tradizione a coloro che flirtano con essa.


2. Newman è uno dei principali ispiratori della teologia del Vaticano II. Newman ha posto le basi per una comprensione dinamica della Tradizione promuovendo la prospettiva di un cattolicesimo come un tutto organico e vivente.

Se nell’Ottocento il cattolicesimo neo-tomista rischiava di essere ingessato in un sistema dottrinario chiuso, tutto incentrato sulla difesa delle istituzioni e dottrine “romane”, Newman ha introdotto la categoria dello “sviluppo” all’interno della teologia cattolica. Essa sta dentro la grammatica dell’aggiornamento adottata da Giovanni XXIII nel convocare il Concilio Vaticano II e poi in quella del rinnovamento che ne è seguita. 


Di fatto, non si può capire la teologia cattolica “in ricerca”, plurale e cangiante senza fare riferimento (anche) a Newman. Oggi il cattolicesimo non è fissato con la mera ripetizione del passato, ma ha riscoperto la dinamica dell’inclusione, persino della “riforma” in ossequio però alla sua natura profonda che non cambia.

Per questa sua teologia dello “sviluppo”, Newman è inviso ai tradizionalisti cattolici (ad esempio, la Fraternità di San Pio X). Lui però non è un esponente della teologia “liberale” o “progressista”. Non a caso, fu Benedetto XVI a beatificarlo nel 2010 apprezzando “il suo zelo per il rinnovamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica”. Per Newman, il cattolicesimo è l’“autentico sviluppo” del cristianesimo ed è questo “sviluppo” costante ad alimentarne la vita e le attività.


Elevando Newman a “dottore” (tra l’altro fu Leone XIII a crearlo cardinale), Leone XIV si colloca pienamente nella linea del Vaticano II che ha aggiornato la cattolicità della chiesa senza perdere di vista la sua romanità. 


Per (almeno) queste due ragioni, Leone XIV ha compiuto forse l’atto teologico più significativo del suo inizio di pontificato: sulla scia del Vaticano II con un occhio di riguardo all’attrazione verso Roma dei non cattolici, primariamente i protestanti irrequieti.