Chiesa al centro (II). Necessità e rischi della contestualizzazione

 
 

Vogliamo avere chiese centrate e centrali? Se riscoprire il Vangelo è il primo passo per la fondazione di chiese dinamiche e impattanti, il secondo è la contestualizzazione. Così sostiene Tim Keller (1950-2023) nel volume Chiesa al centro, Torino, La Casa della Bibbia 2025.

Il volume è a cavallo tra un trattato di ecclesiologia e di missiologia con un’attenzione apologetica verso l’occidente secolarizzato, soprattutto nei contesti urbani. Prima di addentrarci sulla teologia della città sottesa nel libro, è importante capire cosa l’autore intenda per visione teologica contestualizzata.

Per Keller “la contestualizzazione non è dare alle persone ciò che vogliono, ma è dare alle persone le risposte che la Bibbia dà. Risposte a cui le persone potrebbero non voler affatto ascoltare, a domande sulla vita che uomini e donne in un particolare tempo e luogo di pongono, in linguaggi e forme che siano in grado di comprendere e attraverso appelli e argomentazioni di cui, pur rigettandoli, sentano la forza”.

In altre parole, la contestualizzazione è l’annuncio del Vangelo in un modo che sia rilevante per chi lo ascolta, che tocchi la cultura nel suo senso più ampio e ne sovverta le narrazioni. La contestualizzazione può sembrare un processo scontato, ma in realtà non lo è: per questo va gestito con prudenza, attenzione e saggezza.

Quando la teologia liberale ha provato ad inseguire le tendenze della cultura, ad esempio, svuotando l’annuncio del Vangelo da ogni suo tratto soprannaturale, lo ha radicalmente deformato allontanandosi definitivamente dalla verità biblica. L’altro pericolo è di annunciare le verità bibliche senza che chi le ascolti capisca in che modo siano rilevanti per la sua vita, per il mondo in cui vive e per i tempi che affronta.

I processi di contestualizzazione dovrebbero quindi sempre essere intenzionali e ben studiati. Se non lo facciamo rischiamo di assimilare gli idoli della nostra cultura a verità del vangelo. Keller mostra come il Nuovo Testamento sia pieno di esempi del rapporto tra Vangelo e cultura e mostra come Paolo, ad esempio, abbia saputo rapportarsi, ascoltare e parlare con culture diverse adattando sempre i suoi discorsi agli interlocutori, cogliendo gli aspetti di luce di ogni cultura e denunciandone quelli di bui per mostrare la Verità e la soluzione in Cristo. Il modello paolino, quindi, è un esempio di come immergersi nella cultura, contestarla e far leva su di essa per annunciare in maniera pertinente il messaggio evangelico.

Secondo Keller, questo processo deve essere un impegno attivo che si materializza con il reale coinvolgimento e interessamento alla cultura delle città e la cui analisi sfocia poi in spunti concreti per l’evangelizzazione: un esempio sono quelle che lui chiama le “grammatiche dell’espiazione”[1].

Il discorso sulla contestualizzazione obbliga a fare i conti col rapporto con la cultura: dovremmo essere pessimisti o ottimisti circa la possibilità di un mutamento culturale? E la cultura attuale è redimibile o fondamentalmente decaduta e persa?

A queste domande sono state date diverse risposte. I modelli analizzati nel volume sono sostanzialmente quattro: quello dei due regni, quello rilevantista, quello controculturalista e quello trasformazionista.

I modelli tendono a differenziarsi nell’approccio con cui guardano alla grazia comune e quindi alla cultura esterna alla chiesa e rispetto all’influenza che credono di dover esercitare su di essa.

I controculturalisti tendono a minimizzare gli effetti della grazia comune e a sottolineare un approccio passivo verso la cultura promuovendo la “fuga da mondo”. I rilevantisti tendono a inglobare la cultura, muovendosi per avere un’influenza attiva su di essa, ma finendo per allontanarsi dalla verità biblica a causa di una comprensione eccessivamente ottimista di essa. L’approccio dei due regni tende a ridurre l’idea di un’influenza attiva sulla cultura e, infine, il modello trasformazionista vede in maniera ottimistica la capacità di trasformazione della cultura attraverso l’impegno socio-politico.

Al netto delle approssimazioni, sfumature e contaminazioni tra i vari modelli, Keller ri-invita a riconsiderare la storia biblica nella sua totalità e a non dimenticarsi di nessuna delle sue complesse verità.

Se è vero che la creazione è un’opera di Dio fondamentalmente buona, è anche vero che gli effetti della caduta sono stati totalizzanti e devastanti. Un approccio che guarda al mondo con eccessivo ottimismo non tiene in conto degli effetti della caduta, mentre il disprezzo totale del mondo materiale è una contraddizione rispetto al piano originale creazionale. Inoltre, mentre bisogna valorizzare la natura totale della restaurazione, bisogna anche tenere in mente che viviamo in un “non ancora" in cui la cultura non riuscirà ad essere redenta in toto dalla chiesa. Nonostante ciò, viviamo nel “già” che per grazia di Dio permette alle chiese di costituire comunità controculturali che portano rinnovamento e guarigione nel buio delle culture idolatriche.

Insomma, per Keller il problema della contestualizzazione è una questione dirimente della vita di chiese che vogliono promuovere un cambiamento nella cultura. Non si tratta di qualche accenno ai fatti della settimana durante le predicazioni, ma di una comprensione di cosa voglia dire essere chiesa che impatta ogni suo ministero, accompagnato dal realismo biblico nutrito di speranza evangelica. Non fuga dal mondo, né assimilazione al mondo, ma presenza contestualizzata e controculturale impregnata dell’evangelo.

(continua)

Della stessa serie:
“Chiesa al centro (I). Il vangelo che trasforma tutte le narrazioni culturali” (22/8/2025).

[1] Per un approfondimento sulle grammatiche della contestualizzazione: Clay Kannard, “Le grammatiche della contestualizzazione (I). Spunti per l’evangelizzazione”, Loci Communes (18/5/2023) e “Le grammatiche della contestualizzazione (II). I linguaggi dell'espiazione”, Loci Communes (23/5/2023).