Le idiosincrasie dell’incoronazione di Carlo III

 
 

Corona, ermellino, simboli di potere, cori maestosi, celebrità e potenti di tutto il mondo. Tra grandi celebrazioni si è svolta la cerimonia di incoronazione del nuovo re d’Inghilterra Carlo III. L’evento solenne è stato seguito da milioni di persone e i commenti si sono sprecati come ogni qualvolta la corona inglese è protagonista di un grande evento, l’ultimo dei quali era stato il funerale della regina Elisabetta. Da più parti sono arrivate considerazioni sul fatto che l’esercizio del potere basato su una sedicente origine divina della monarchia ed intrecciata a linguaggi cristiani sembra fuori luogo e fuori tempo massimo. In effetti l’incoronazione di Carlo III come re della Gran Bretagna e capo della chiesa d’Inghilterra pone non pochi interrogativi sotto molti punti di vista.

Su Evangelical Focus, Thomas Schirrmacher, segretario generale dell’Alleanza Evangelica Mondiale, ha evidenziato come quest’incoronazione pone delle problematiche teologiche che, nonostante i tentativi - pochi a dire il vero - di ammodernamento della corona restano irrisolte. In realtà si è trattata di una cerimonia incastonata in un culto apparentemente “cristiano” (letture bibliche, canti di salmi, ecc.) per incoronare un re che cristiano non è (almeno nell’accezione evangelica) da parte di persone che cristiane non sono (come il primo ministro britannico che è induista) e condita di preghiere inclusive di riferimenti ad altre religioni che contraddicevano il cristianesimo biblico. Un mix di tradizionalismo desueto e di politicamente corretto davvero disorientante. 

L’incoronazione di un re o regina della Gran Bretagna ha una liturgia antichissima e storicamente legata alle radici di quel Paese, fortemente connessa all’idea, precedente alla Riforma protestante, del ruolo del re come capo divinamente istituito dello Stato e della Chiesa anglicana. Anche se nella prassi la Gran Bretagna è una monarchia parlamentare dove la libertà religiosa è completamente garantita, la particolarità di riconoscere il re anche come capo della chiesa anglicana non viene superata. E ciò costituisce un problema teologico irrisolto. Come può un capo politico essere anche capo religioso? Non contravviene ciò un principio elementare di dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare?

L’incoronazione arriva anche in un momento cruciale per la chiesa anglicana. Proprio nelle scorse settimane, più di tre quarti dei vescovi anglicani del mondo hanno disconosciuto l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury contestando su basi bibliche le decisioni del sinodo della chiesa d’Inghilterra che ha approvato la benedizione delle unioni omosessuali. C’è una evidente contraddizione tra una chiesa anglicana globale che si distanzia dalla chiesa d’Inghilterra di cui il re sarebbe il capo. Mentre Carlo III si dice promotore e difensore di tutte le religioni, in realtà la grande maggioranza della chiesa di cui è capo si stacca dalla leadership inglese e, per definizione, dalla sua. Oltre a non avere senso teologico, molte delle affermazioni udite nella cerimonia sull’autorità del re sulla chiesa sono anche irrilevanti e fuori dalla storia.

La cerimonia di incoronazione ha ignorato tutto questo e ha guardato al passato e ad un assetto che non esiste più anche perché l’anglicanesimo, nella stessa Inghilterra, è una religione minoritaria che continua a perdere fedeli. La fede personale della regina Elisabetta, fino a poco tempo fa aveva, in un certo senso, mantenuto degli equilibri che nessuno aveva osato smuovere, ma adesso che viene incoronato un re che non ha mai fatto una professione personale di fede, che si definisce difensore non solo dell’anglicanesimo ma attratto da tutte le religioni e in un Paese secolarizzato e multireligioso, il sistema concettuale che regge l’intreccio tra monarchia e cristianesimo mostra tutte le sue crepe.