Moriremo marxisti? (III). Gramsci e la lotta per l'egemonia culturale

 
Gramsci
 

Sia che espliciti il riferimento al marxismo o meno, da dove viene la risorgenza del pensiero marxista che sembra così influente nelle élites intellettuali? È ovvio che bisogna fare i conti con Karl Marx stesso. Eppure, non si può capire il neo-marxismo contemporaneo senza passare da Antonio Gramsci (1891-1937). È Gramsci che ha impresso una svolta sulla quale gli sviluppi attuali si sono innestati.  

Gramsci è una figura di grande rilievo nella cultura europea. Uomo politico, prigioniero sotto il fascismo, intellettuale poliedrico, Gramsci ha lasciato nei suoi Quaderni dal carcere (iniziati nel 1928 e pubblicati nel 1948-1951) la forma più avanzata e organica del suo pensiero. Interrogandosi sul fallimento delle previsioni di Marx sull’imminente presa di potere del comunismo, Gramsci notava che il determinismo economico e il materialismo storico di Marx non avessero dato adeguato peso al ruolo della cultura nel formare la coscienza dei popoli. La cultura per Marx è solo la sovrastruttura poggiata sulla base data dalle condizioni economiche. Qui stava l’errore per Gramsci: Marx aveva sottostimato l’importanza della cultura e sovrastimato quello dell’economia.  

Per Gramsci, la cultura e le istituzioni sociali non sono solo figlie delle condizioni economiche, ma semmai madri generatrici delle stesse. O meglio, non sono solo sovrastrutture secondarie, ma vere e proprie architetture della vita sociale che danno forma e orientamento alla società. Per determinare le condizioni della rivoluzione comunista, per Gramsci bisogna aggredire la “egemonia” della cultura borghese (impastata di intrecci con quella religiosa e istituzionalizzata nella famiglia, nella chiesa, nei sindacati, nel sistema educativo, nei mezzi d’informazione, ecc.) e sostituirla con una diversa “egemonia” (quella della cultura comunista) in grado di creare le condizioni per la spallata al capitalismo e l’instaurazione del comunismo. Prima che conflitto politico-militare, la rivoluzione è una guerra “culturale”. Il terreno di scontro è la conquista dell’egemonia che, facendo maturare una nuova coscienza sociale non più succube alla cultura borghese, porti con sé un “ordine nuovo”.

Di qui il programma gramsciano: infiltrare e, da ultimo, occupare le scuole, le università, i media per sovvertire la cultura fiancheggiatrice del capitalismo e sostituirla con l’egemonia culturale comunista. Gramsci chiama ad intraprendere una lunga marcia nelle istituzioni culturali volta a conquistare il potere sul terreno ideologico prima che politico. Ciò spiega l’importanza che il marxismo post-gramsciano ha attribuito all’educazione, all’università, all’arte, alle scienze sociali. 

Nelle letture evangeliche anglosassoni del marxismo culturale, viene attribuito a Gramsci un pensiero scristianizzante volto a sovvertire il cristianesimo con un’ideologia secolare. Occorre precisare un punto che non viene quasi mai sottolineato: quando parla di religione, di cristianesimo, di chiesa, Gramsci parla primariamente di cattolicesimo romano, di chiesa cattolica e di egemonia cattolica sull’Italia. Vero è che la sua ideologia comunista è ateista e negativa contro la religione in generale. Eppure la sua opposizione è primariamente verso il cristianesimo cattolico. Questa precisazione va colta. Il cattolicesimo italiano è stato la base ideologica che ha per secoli plasmato la vita italiana, condizionandone in senso negativo il tasso (scarso) di pluralismo culturale. 

Mentre il contemporaneo Benedetto Croce diceva: “non possiamo non dirci cristiani” (riconoscendo quindi un ruolo “civile”, pedagogico, culturale al cattolicesimo), Gramsci riteneva che il comunismo come cultura avrebbe dovuto contrastare l’egemonia del cattolicesimo e, alla fine, sostituirla con una visione del mondo immanentista e secolarizzata.  

Il pensiero di Gramsci ha inspirato le battaglie per la laicità dello Stato, cioè la fuoriuscita delle istituzioni pubbliche dalla sudditanza culturale rispetto al cattolicesimo romano. Il contrasto all’egemonia cattolica nella politica, nella scuola, nella società è stato un contributo positivo a creare le condizioni per superare un “regime di cristianità” che è una devianza rispetto ad un vissuto fedele di cristianesimo biblico. Non sempre gli evangelici che non conoscono il cattolicesimo capiscono che il declino della cristianità non è una cattiva notizia per la testimonianza evangelica. In questo Gramsci ha aiutato a mettere in discussione e limitare l’egemonia cattolica sulla società italiana. Vero è che i comunisti italiani dopo di lui (Togliatti su tutti) sono scesi a patti con il cattolicesimo per una forma di “compromesso” che tuttora regge gli equilibri italiani. L’art. 7 della Costituzione (che incorpora i Patti Lateranensi tra l’Italia e il Vaticano) è figlio di questo compromesso poco gramsciano e molto democristiano.

Detto questo, va anche sottolineato che il pensiero gramsciano non è laico e pluralista. Gramsci voleva combattere un’egemonia non per creare una “società aperta”, ma per sostituirla con quella del comunismo. I nipotini di Gramsci continuano ad essere affetti da questa distorsione. Mentre contestano la supremazia cattolica e si fanno avvocati della laicità, vogliono al contempo imporre un “pensiero unico” a cui tutti devono tributare il culto. La scuola statale italiana è un terreno di scontro evidente. Da un latro, l’insegnamento della religione cattolica è un residuo di “regime di cristianità” rivestito di motivazioni crociane (visto che “non possiamo non dirci cristiani”, lo Stato ci deve insegnare a capire cosa vuol dire). Dall’altro, la crescita sproporzionata del ruolo della scuola che educa alla sessualità, all’emotività, a genitore 1 e genitore 2, ecc. secondo un’ortodossia ideologica è un tentativo di sostituirsi alle responsabilità della famiglia e, così facendo, di sovvertire l’ordine sociale: dall’egemonia culturale della chiesa cattolica all’egemonia culturale della Stato. Gramscianamente, la scuola è la fucina di una cultura egemonica che plasma la società. 

Diversamente da Gramsci, la cultura evangelica presidia la libertà di tutti, difende la laicità dello Stato, accetta il pluralismo istituzionale, responsabilizza tutti i soggetti. In questo senso, combatte sia l’egemonia cattolica, sia quella comunista gramsciana.

(continua; puntate precedenti: “La galassia neo-marxista”, 9 giugno 2021; “Il capitale: brevissime istruzioni per l’uso”, 15 giugno 2021)