Stottiana (X). Da controversista a diplomatico, ha davvero aiutato nel rapporto con il cattolicesimo?

 
Stottiana (X)
 

Reid Karr e Leonardo De Chirico

La statura internazionale di John Stott (1921-2011) e la sua influenza sul movimento evangelico del XX secolo lo rendono una figura da interrogare anche sul secolare e controverso tema del rapporto tra la fede evangelica e il cattolicesimo romano. Aiutando gli evangelici del dopoguerra a ricompattarsi intorno all’evangelo biblico e per la missione cristiana, Stott ha avuto anche un ruolo (ancorché non primario) nell’influenzare la lettura evangelica del cattolicesimo uscito dal Concilio Vaticano II (1962-1965). Stott non ha scritto un libro sul cattolicesimo e quindi non ha avuto modo di sviluppare la sua analisi in modo disteso ed approfondito. Si trovano tuttavia tracce significative nei suoi libri e nelle iniziative in cui ha avuto un ruolo di punta che possono essere interrogate. Questo articolo si soffermerà su tre momenti del contributo di Stott all’analisi evangelica del cattolicesimo. Il primo basato sul suo libro Christ the Controversialist (1970), il secondo sul suo coinvolgimento nel dialogo evangelico-cattolico sulla missione (ERCDOM 1977-1984) e il terzo su quanto affermato in proposito nel Manifesto di Manila (1989).

Il controversista
Nella temperie culturale che voleva un Gesù morbido e inclusivo, Stott scrisse un libro coraggioso per quel tempo. Già il titolo è programmatico: Cristo il controversista. Il Gesù Cristo della Bibbia non è un piacione che va d’accordo con tutti, ma uno che unisce perché divide, che polemizza, che smaschera le ipocrisie, che spiazza i benpensanti. Stott ha tre interlocutori principali: uno è il liberalismo teologico che vorrebbe un Gesù “morale” ma non dottrinale; l’altro è l’ecumenismo al ribasso che vuole l’unità senza la verità; e il terzo (anche se più defilato rispetto ai primi due) è il cattolicesimo che più che Cristo vuole la chiesa. A queste deviazioni, Stott contrappone la fede evangelica che, per lui, è il cristianesimo biblico, originale e fondamentale.

All’indomani del Vaticano II, Stott è consapevole che il cattolicesimo è in una fase di transizione. Mostra particolare attenzione al fatto che Roma abbia aperto le porte alla circolazione della Bibbia tra i laici, superando le secolari resistenze ad un confronto diretto con la Scrittura da parte dei fedeli. Questa “maggiore consapevolezza biblica” può avere – per Stott – delle “conseguenze incalcolabili”. Detto questo, Stott sottolinea altresì che il cattolicesimo, per quanto coinvolto in un processo di “aggiornamento”, non ha in alcun modo modificato nessuna delle posizioni anti-protestanti del suo passato remoto e recente. Quello che più conta è che le pratiche non bibliche elevate da Roma a punti identitari (esempio: la confessione auricolare al prete) sono ancora lì. Particolarmente critica è la lettura di Stott del “Credo del popolo di Dio” che Paolo VI fece seguire alla conclusione del Concilio per rimarcare la fedeltà cattolica ai suoi presidi confessionali: la mariologia, il papato e la messa. Per Stott si tratta di “tradizioni interamente non bibliche”.

In aggiunta a ciò, Stott nota nei testi del Vaticano II una serie di contraddizioni dovute alla riaffermazione delle dottrine tradizionali giustapposta ad espressioni che danno voce a uno sviluppo dottrinale prima sconosciuto. Il cattolicesimo è quello tradizionale o quello in via di aggiornamento? Per Stott, Roma si trova in una “condizione di confusione”: una situazione che non potrà essere mantenuta a lungo. Con queste perplessità, Stott ritiene che l’unico auspicio per il futuro sia “una riforma radicalmente biblica” che getti le basi per un avvicinamento a Roma che oggi è impedito dalla postura non biblica del cattolicesimo nelle sue strutture teologiche portanti. Questa “riforma” ha una parte demolitiva e una costruttiva. Da un lato, Roma deve abbandonare le sue credenze e pratiche non bibliche radicate nel suo DNA; dall’altro, il cattolicesimo deve abbracciare “le dottrine del primato della Scrittura e della giustificazione per fede soltanto” all’interno di tutto il consiglio di Dio. In altre parole, la Riforma che Roma ha respinto nel Cinquecento rimane una necessità nel XX secolo se il cattolicesimo vuole realmente imboccare la strada del rinnovamento biblico, a parole attestato al Vaticano II ma nei fatti smentito dagli anni del post-Concilio.

Come si evince, Stott nel Cristo il controversista si colloca nell’alveo della critica evangelica classica del cattolicesimo. E’ attento alle dinamiche scaturite dal Vaticano II, ma non impressionato da esse e fermamente convinto che la Riforma sia l’unica strada per un vero cambiamento di Roma nel segno dell’evangelo biblico.

Il dialogante
Un secondo momento del contributo di Stott all’analisi evangelica del cattolicesimo è legato al suo coinvolgimento in ERCDOM (The Evangelical and Roman Catholic Dialogue on Mission). Infatti, Stott fu il referente principale del gruppo evangelico che partecipò a questo dialogo informale in tre incontri che si tennero tra il 1977 e il 1984, a Venezia (1977), Cambridge (1982) e Landévennec (1984).

Prima, però, è importante notare che ERCDOM non rappresenta un accordo teologico raggiunto tra gli evangelici ed i cattolici. Non è una dichiarazione congiunta e questo non fu neanche lo scopo. Lo scopo di ERCDOM era di scambiare idee e convinzioni teologiche per vedere se esistessero punti in comune visto che, con il “Patto di Losanna” (1974) e con l’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi” di Paolo VI (1975), il mondo evangelicale e quello cattolico avevano affrontato il tema della missione. ERCDOM è un resoconto delle idee scambiate e condivise durante questi tre incontri e evidenzia - secondo i partecipanti - alcuni punti in comune e altre aree in cui esistono disaccordi significativi tra la fede evangelica ed il cattolicesimo romano, specialmente nel loro modo di intendere e praticare la missione.

Inoltre, è molto apprezzabile lo scopo realistico di ERCDOM. Cioè i partecipanti sapevano che, a causa delle differenze teologiche esistenti, non sarebbe stato molto saggio cercare di raggiungere un accordo sui tanti temi discussi. Hanno scelto, invece, di dialogare sulle questioni di comune interesse. Questo è commendevole. Quando invece gli evangelici ed i cattolici romani cercano di raggiungere accordi dottrinali tra di loro, l’evangelo di Cristo viene offuscato, annacquato e confuso.

Ciò detto, ci sono almeno due debolezze di ERCDOM da evidenziare. La prima è l’approccio che i partecipanti hanno utilizzato nel discutere i vari temi teologici. Soprattutto gli evangelici hanno utilizzato un approccio atomistico nel discutere le questioni. Un approccio atomistico esamina i temi teologici un tema alla volta, come se ciascuno di essi fosse in qualche maniera staccabile da tutto l’insieme. Ad esempio, è come se i temi della rivelazione e dell’autorità fossero indipendenti rispetto alla mariologia. Oppure è come se il tema della riforma della chiesa fosse staccato dal tema della missiologia della chiesa. I rischi di quest’approccio però vengono evidenziati quando lo confrontiamo con un approccio sistemico. Diversamente da un approccio atomistico - che esamina i temi teologici un tema alla volta, dando l’impressione che ciascun tema possa essere isolato da tutti gli altri temi - un approccio sistemico vede l’evangelicalismo ed il cattolicesimo romano come sistemi teologici integrali e integrati, cioè sistemi di fede e di vita in cui tutto è intimamente collegato. Con quest’approccio, se la cristologia viene staccata in qualche maniera dalla soteriologia, dalla mariologia o dalla missiologia, il sistema crolla.

La seconda debolezza da sottolineare è il fatto che ERCDOM ha dato per scontate le definizioni di tanti termini teologici cruciali per una comprensione biblica dell’evangelo di Gesù Cristo, e che sono, allora, essenziali per una missiologia sana e biblica della chiesa. In altre parole, la fede evangelica e il cattolicesimo hanno un vocabolario molto, molto simile. Termini come evangelo, salvezza, conversione, peccato, Spirito Santo, redenzione, grazia, Trinità, giustificazione, chiesa, ecc., sono fondamentali nel lessico di entrambe le chiese. Gli evangelici che parteciparono ad ERCDOM, e Stott su tutti, hanno tuttavia sbagliato nel dare per scontato che tanti dei termini che hanno discusso, e che erano centrali ai loro dialoghi e alle conclusioni che hanno raggiunto, avessero lo stesso significato biblico. 

Queste sono due debolezze importanti che alla fine hanno creato confusione e che hanno raggiunto accordi superficiali che poi presentano un vangelo sempre più offuscato e che tendono sempre verso il suddetto ecumenismo al ribasso che vuole l’unità senza onorare pienamente la verità.

Il diplomatico
Il terzo e ultimo contributo di John Stott all’analisi evangelica del cattolicesimo non è un suo scritto, ma ha a che fare con il suo ruolo di principale estensore del “Manifesto di Manila” (1989) a conclusione del secondo congresso per l’evangelizzazione del mondo nella capitale filippina. Mentre il Patto di Losanna (1974) non contiene alcun riferimento specifico alle relazioni col cattolicesimo o con altri organismi ecclesiastici non evangelici, il Manifesto di Manila (un testo più lungo e articolato) fa riferimento alla questione di quale debba e possa essere la postura degli evangelici di fronte alla chiesa di Roma, all’ortodossia orientale e al Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC). A questo proposito è utile una citazione dal Manifesto di Manila dove si riconosce la mediazione di Stott nel comporre un quadro differenziato e nel tentativo di mantenere un discorso unitario da parte di tutto il mondo evangelicale rappresentato al Congresso:

Riconosciamo che ci sono molte chiese che non fanno parte del movimento evangelico. Le posizioni degli evangelici nei confronti della chiesa cattolica e delle chiese ortodosse sono molto diverse. Alcuni pregano, dialogano, studiano le Scritture e lavorano assieme a queste chiese; altri si oppongono fermamente a ogni forma di dialogo o di collaborazione con loro. Tutti gli evangelici sono comunque consapevoli che rimangono serie differenze teologiche. Ma dove è possibile e purché la verità biblica non sia compromessa, la collaborazione può attuarsi in campi come la traduzione della Bibbia, lo studio su temi di etica e di teologia contemporanea, il lavoro sociale e l’azione politica. Vogliamo comunque chiarire che l’evangelizzazione comune esige un comune impegno verso l’Evangelo biblico (II.9).

Qui Stott non fa più il controversista, né il semplice dialogante, ma fa il fotografo. Scatta un’istantanea sulla situazione diversificata all’interno del mondo evangelico, la registra e la descrive, senza provare a individuare criteri utili a far crescere la maturità evangelica nell’affrontare le questioni teologiche, globali e di sistema che il rapporto con Roma e con il CEC comportano. Alcuni evangelici fanno in un modo, altri in un altro. Alcuni partecipano al movimento ecumenico, altri no. Chi abbia ragioni bibliche e chi no, non è detto. Basta affermare la legittimità di entrambi gli approcci e avviarsi frettolosamente al punto successivo.

Nel fare ciò, viene forse fuori lo Stott anglicano, avvezzo a praticare la “via media” tra posizioni contrastanti. Non è più lo Stott che, sulla base delle questioni fondamentali in gioco, ha il coraggio e la libertà di dire “pane al pane e vino al vino” sulla devianza del cattolicesimo dal cristianesimo biblico e sulla necessità della riforma in senso evangelico, ma è lo Stott diplomatico che, avendo praticato un approccio atomistico al cattolicesimo (come è il caso di ERCDOM) e per estensione all’ecumenismo, lo estende nel lavoro redazionale del “Manifesto di Manila” accontentandosi di dire che gli evangelici non hanno un approccio unitario alle relazioni col mondo esterno. Eppure, visto che Manila si occupa di missione e di evangelizzazione, fare missione ed evangelizzazione in comunione con Roma o senza alcuna relazione con il cattolicesimo fa una grande differenza.

La questione irrisolta del rapporto con il cattolicesimo è uno dei cantieri lasciati aperti dalla lunga e benedetta militanza evangelica di Stott. Su altri temi cruciali (l’autorità della Scrittura, la centralità della croce, la necessità della conversione, l’urgenza della missione, la chiamata alla collaborazione) il ministero di Stott è stato positivamente decisivo; su come relazionarsi al mondo non evangelico, e in primis alla Chiesa cattolica, Stott è partito in modo utile (col piglio del controversista evangelico), si è impantanato in un dialogo atomistico (ERCDOM) per poi sciogliersi in un ruolo meramente diplomatico.

(sintesi della relazione tenuta nell’ambito della serie di conferenze “1921-2021. La fede evangelica tra ieri e domani” su “John Stott e il cattolicesimo romano. Discernimento, dialogo, questioni aperte” a Roma, ICED, il 12 giugno 2021).