Uscire dai silenzi, vivere l’integrità. Sfide dal Laboratorio della predicazione

 
 

Oltre a sessioni sul lavoro esegetico e sulla costruzione di serie omiletiche, il Laboratorio della predicazione 2025, tenuto all’IFED di Padova dal 17 al 19 luglio u.s., è stato anche occasione di spaziare sulle sfide. Nelle ultime sessioni Giuseppe Rizza ha sfidato i partecipanti a due riflessioni profonde che, dopo più di un mese, continuano a lasciare echi nei cuori di chi le ha ascoltate. Eccone un breve sunto:


Il silenzio di Giona e i nostri

La prima ha trattato il libro di Giona. Pur appartenendo all’immaginario biblico più condiviso, questa vicenda va oltre l’esito consolatorio tipico di una storia a lieto fine. Giona era un uomo rispettato, compiuto e di successo. Nella storia del popolo d’Israele aveva contribuito a creare stabilità nella nazione (2 Re), ma davanti alla chiamata del Signore fugge in un emblematico silenzio. Come si può spiegare tutto questo e cosa ne possiamo trarre per la nostra chiamata?


Profondità e sfide della chiamata

Andare a Ninive non era uno scherzo. Essa era il male per eccellenza. Era la città che raffigurava tutto il disgusto, la violenza, la malvagità e la perversione che Dio un giorno avrebbe punito. La conseguenza logica della giustizia del Signore avrebbe dovuto essere, appunto, la cancellazione di questa città dalla faccia della terra. Tuttavia, il piano di Dio era la salvezza e sarebbe passata attraverso l’annuncio di Giona. Per il profeta tutto questo è scandaloso. Il suo problema non è tanto Ninive quanto Dio: un Dio troppo buono per lui, troppo misericordioso, caratterizzato da questa grazia irreversibile, libero e non racchiudibile in una scatola. La chiamata di Giona, quindi, rappresentava una sfida immensa a superare i propri schemi e le proprie idee.


Come Giona, qual è la debolezza missionale della chiesa evangelica oggi? Quali sono i confini che il pregiudizio non permette di attraversare? Nella sua analisi Rizza ha suggerito alcuni campi di lavoro: la necessità di trasmettere l’identità ricevuta in Cristo in una società sempre più individualistica, la sfida di presentare la verità del vangelo in un contesto relativista, il bisogno d’insegnare l’unità in Cristo in un mondo di legami deboli, la chiamata ad annunciare l’autorevolezza del vangelo senza dare spazio a degenerazioni autoritarie e l’esigenza di trasmettere la verità in un mondo in corsa (re-immaginare un impegno che apprezzi velocità e lentezza)


Forza di una fuga

La reazione di Giona è immediata. Ciò che Dio chiedeva era troppo per lui. La soluzione fu una fuga silenziosa. Nessuna discussione, ma solo una fuga da Dio e dalla sua voce. Giona ha paura del successo, della realizzazione di ciò che Dio ha detto e cioè che nella sua scandalosa grazia perdoni questo popolo, i suoi nemici. La sua identità di profeta nazionalista è disintegrata: fugge da sé stesso ed è l’inizio di una spirale discendente geografica e spirituale.


Tarsis è la fine del mondo conosciuto, dal lato opposto di Ninive. Giona, inizia un vagabondaggio spirituale in cui non troverà mai soddisfazione. Il profeta è disposto a pagare il prezzo alto del suo viaggio per allontanarsi da Dio che offre gratuitamente il suo perdono.


Quale prezzo paga la chiesa, anche in termini di tempo per fuggire da Dio, “lontano dalla presenza del Signore” come Adamo dopo il peccato. E noi? Da cosa stiamo fuggendo in silenzio? Da quale chiamata sta fuggendo la chiesa evangelica? La sindrome di Giona è la paura di realizzare davvero il piano per cui siamo stati chiamati.


Una grazia inarrestabile

Ma la grazia di Dio non si ferma con la fuga di Giona. Dio, che ha creato ogni cosa, provvede a Giona la tempesta. Lo guida in maniera miracolosa e drammatica nella direzione da percorrere. Il profeta sceglie il caos del mare (e del cuore), ma Dio entra in quel caos. La tempesta è parte della sua grazia inarrestabile che si manifesta e si è manifestata nella storia in un Giona più grande di cui questo Giona è ombra, Gesù Cristo.  Il Figlio di Dio, a differenza del profeta, si è offerto volontario, ha scelto di restare nella tempesta, si è preso il giudizio di Dio per salvare un mondo intero di uomini in fuga e per farlo ha passato tre giorni nell’abisso della morte. 


Qual è la tua Ninive? Qual è la chiamata di Dio che trovi inconcepibile e ti fa venire voglia di scappare? Qual è la tua Tarsis? Quale prezzo hai pagato per sfuggire alla sua volontà? C’è un Dio che ci ama abbastanza per mandarci ancora tempeste! Smetti di cercare la fine del mondo in cui nasconderti. Lo Spirito Santo continuerà ad agire nella sua chiesa, basta fuggire. Dedichiamo l’unica possibilità che abbiamo di fidarci di Dio, la nostra vita.


La chiamata all’integrità

La seconda riflessione di Rizza è un’evoluzione di quella che è stata appena raccontata. Le sfide della cultura liquida e della rivoluzione digitale del nostro tempo, alla luce delle fragilità interne della chiesa contemporanea esige il recupero di una visione teologica robusta, olistica e biblicamente fondata nella missione cristiana nel mondo.


In questo contesto il paradigma del “mandato culturale” (Genesi 1,26-28) emerge in modo potente ed attuale. L’uomo ad immagine di Dio è chiamato a coltivare, sviluppare e governare la creazione in ogni sua forma (dall’arte alla scienza, dalla politica all’economia, dalla famiglia alla tecnologia) per la gloria di Dio ed il fiorire dell’umanità.


La breve lettera di Paolo a Tito sviluppa attivamente il mandato culturale attraverso la struttura creazione, caduta e redenzione, offrendo un modello di impegno cristiano nel mondo che parla direttamente alle nostre sfide contemporanee. Facciamo un breve excursus:


Creazione e ordine: la chiesa come laboratorio della nuova creazione (Tito 1-2)

Nella delineazione dei requisiti degli anziani e dei pastori, Paolo non sta semplicemente compilando una lista di virtù personali ma sta descrivendo il carattere di colui che è chiamato a promuovere l’ordine del regno di Dio. Buon governante, amministratore, costruttore ed è attraverso la chiesa che questi caratteri si formano.


La caduta e la grazia comune: tra antitesi e collaborazione (Tito 1-3)

La caduta ha corrotto la capacità umana di portare avanti il mandato culturale. Esso è soggetto a distorsioni peccaminose di ribellione ed alienazione. Questo è chiaro dalle parole di Paolo che, usando lo strumento linguistico dell’antitesi le mette in luce. Tuttavia, l’apostolo non innesca un meccanismo oppositivo (3,1-2). Alla luce della grazia comune chiama la chiesa a lavorare e collaborare/co-belligerare per il bene della società. 


Redenzione ed impegno: il vangelo come motore del rinnovamento culturale (Tito 2-3)

Mentre la grazia comune promuove il dialogo e la collaborazione, è la grazia speciale, la grazia salvifica che cambia ogni cosa. Essa non chiama fuori dal mondo ma rieduca a viverlo nel presente (con tutte le sue ambiguità, tentazioni e sfide) in una logica completamente nuova, quella del vangelo. L’obiettivo ultimo della redenzione non è semplicemente la salvezza individuale delle anime per il cielo ma la creazione di un popolo nuovo (2,14).


Le implicazioni suggerite da Rizza rispetto a questo argomento sono state: la necessità del primato dell’integrità sulla prestazione, l’importanza di vivere vite di fede integrate con la quotidianità, il costruire un equilibrio tra antitesi e grazia comune, il riconoscere i tempi di Dio.


Nelle parole di Rizza, “Tito ci porta ad una testimonianza integrale che parte dalla formazione di caratteri integri, dalla costruzione di famiglie sane, dalla coltivazione di comunità ordinate secondo il vangelo. La sfida per la chiesa evangelica del XXI secolo è monumentale ma non impossibile. Tuttavia, noi non siamo chiamati a salvare il mondo, questo è già stato fatto sulla croce del Calvario. Siamo chiamati a essere fedeli testimoni di questa salvezza, sale che preserva, luce che illumina, lievito che trasforma. Con ‘zelo paziente’, radicati nel vangelo eterno e aperti all'azione sempre nuova dello Spirito, possiamo affrontare le tempeste del nostro tempo non con paura ma con speranza, non con nostalgia del passato ma con creatività per il futuro, non con spirito di condanna ma con amore per questo mondo che ‘Dio ha tanto amato’”.


Sul Laboratorio della predicazione 2025:

Francesco Orefice, “Laboratorio della predicazione 2025. Cronaca di un fine settimana benedetto” (29/7/2025)

Davide Ibrahim, “1,2,3,0. I numeri della predicazione paolina” (31/7/2025)

Josh Brown, “Qual è il compito del predicatore? Cosa ho imparato dal Laboratorio della predicazione” (18/8/2025)