Cristianesimo e liberalismo (VI-VII). Salvezza e chiesa: esclusiva la prima, responsabilizzata la seconda

 
 

Con questo articolo si conclude la serie di Loci Communes dedicata al centenario della pubblicazione di Cristianesimo e liberalismo (1923) di Gresham Machen, pubblicato in italiano da Alfa&Omega nel 2014.

Nei capitoli finali, Machen si impegna ad affrontare le maggiori critiche mosse dai liberali contro la dottrina della salvezza. Tra le questioni in ballo, salta all’occhio quella legata all’esclusività della redenzione. Allora come oggi, definire una realtà “esclusiva”, accessibile solamente attraverso la fede in una persona specifica, suscitava e suscita un sentimento contrario e repulsivo, addirittura persecutorio. “La salvezza non [è] semplicemente per mezzo di Cristo, ma solo per mezzo di Cristo. [È] questa piccola parola “solo” a rappresentare un’offesa. Senza di essa non ci sarebbe stata alcuna persecuzione” (p. 122).

Dopo la negazione dell’incarnazione del Figlio di Dio nella persona di Gesù Cristo, il passo logicamente successivo è stato quello di bypassare la sua opera espiatoria compiuta sulla croce e la necessità da parte dell’uomo di credere in essa per essere redento e ristabilire la vera comunione con Dio. Se Gesù viene reputato un uomo straordinario, ma comunque appartenente al pantheon dei relativamente unici, allora anche la sua morte non sarà altro che un bell’esempio relativamente paragonabile ad altri episodi di abnegazione. Dunque, l’esclusività del vangelo viene annullata, lo scandalo della croce negato e la stessa salvezza universalizzata.

Non è quindi una sorpresa che il liberalismo abbia voluto rimarcare la “fratellanza di tutti gli uomini” (p. 149): non sotto l’aspetto creazionistico, in quanto tutti creati dal medesimo Creatore, ma sotto quello salvifico, affermando che, in un modo o nell’altro, siamo tutti “credenti” e quindi “fratelli”. Difficile non notare il riverbero dell’eco liberale nel cattolicesimo romano, non a caso recente promotore della fratellanza universale.

Se da una parte Machen risponde alle critiche riaffermando che a “tutti gli uomini è stato dato quest’unico messaggio di vita e salvezza, che deve essere predicato, con tutti i rischi che comporta, fin quando ci sarà tempo” (p. 122), dall’altra, sottolinea che “se questa salvezza non è offerta a tutti gli uomini, il problema non è del messaggio, ma di coloro che non hanno saputo utilizzare i mezzi che Dio ha posto nelle loro mani” (p. 123). Se i liberali si sforzano a circumnavigare il messaggio del Vangelo e a non sottomettersi ad esso, i veri cristiani lo accettano con tremito e riconoscono di avere “la responsabilità… di far conoscere il nome di Gesù a tutta l’umanità” (p. 123). È il Signore che salva ed è lui che responsabilizza la sua chiesa affinché sia uno strumento attraverso cui altri possano ricevere la salvezza unicamente per mezzo di Cristo.  

Ma non finisce qui. La ragione dell’inclusività salvifica del liberalismo è da rinvenire nel suo (lecito) interesse di trasformare in meglio la società. Tuttavia, il motivo pragmatico guida l’elaborazione dottrinale, mentre biblicamente è il contrario: “la vera trasformazione della società avverrà mediante l’influenza esercitata da coloro che sono salvati” (p. 150). Se da un lato il liberale trova la sua salvezza nella società, dall’altro il cristiano la rinviene unicamente in Cristo, e con la sua mente rinnovata desidera ed è chiamato ad arrecare beneficio alla società, in attesa del compimento di tutte le cose per mezzo della seconda venuta del Signore Gesù Cristo.

Il punto di partenza del cristianesimo e del liberalismo è divergente, e perciò lo sono anche i loro mezzi e le loro conclusioni. Come abbiamo potuto constatare articolo dopo articolo, cristianesimo e liberalismo sono due sistemi, che pur avendo delle somiglianze “terminologiche”, in realtà predicano due vangeli diversi: il liberalismo, una falsa “buona notizia” che cerca il piacere dell’uomo (Galati 1,6-10), mentre il cristianesimo annuncia “Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per gli stranieri pazzia” (1 Co 1,23).  

Oggi è difficile non rendersi conto che lo spirito liberale si è incarnato nella dottrina cattolico-romana. Mentre oltre un secolo fa il liberalismo è fuoriuscito dall’evangelicalismo ortodosso, ora alcune fazioni evangeliche sono attratte dall’idea di “unirsi fraternamente” sotto l’egida del cattolicesimo-romano, a braccetto con le altre religioni mondiali. Come ci comporteremo? Ascolteremo la voce profetica di Machen, combattendo “questa battaglia spirituale e intellettuale”, dimostrando “la propria fedeltà a Cristo come membri di una comunità locale” e impegnandoci nel “rinnovamento dell’educazione cristiana” (pp. 161-163), o preferiremo abbandonare ciò in cui che crediamo per il timore e/o la lusinga degli uomini e incamminarci insieme ad altri lungo il sentiero della morte spirituale, dottrinale e missionale?

Della stessa serie:
Cristianesimo e liberalismo (I). Dopo cento anni è ancora attuale?” (28/3/2023)
Cristianesimo e liberalismo (II). Il legame indissolubile tra storia e dottrina” (22/5/2023)
“Cristianesimo e liberalismo (III). Il segno distintivo del cristiano? Il cuore infranto” (18/07/2023)
“Cristianesimo e liberalismo (IV). Se l’ispirazione plenaria vivifica…la scelta arbitraria mortifica!” (20/11/2023)
“Cristianesimo e liberalismo (V). Gesù Cristo è da imitare perché è da adorare” (6/12/23)