Destra o sinistra (II)? Per O’Donovan bisogna guardare alla resurrezione

 
 

È possibile un’etica cristiana all’insegna dell’evangelo? Sulla scommessa di questa possibilità, Oliver O’Donovan imposta un progetto teologico («outline») che renda ragione del carattere evangelico dell’etica: Resurrection and Moral Order. An Outline for Evangelical Ethics, Leicester, IVP 1986[1].

Figura di un certo peso nel panorama teologico anglosassone, O’Donovan è stato per molti anni Regius Professor di teologia morale e pastorale all’Università di Oxford e poi a Edimburgo. Pastore della Chiesa d’Inghilterra e teologo poliedrico, O’Donovan appartiene all’ala evangelica dell’anglicanesimo ed è una delle voci più significative della riflessione teologica sull’intreccio tra etica e politica.

L'opera di O'Donovan spazia dall’esplorazione della dimensione politica della teologia alle modalità del discernimento spirituale in un mondo contrassegnato dalla complessità etica. Ravvivando la tradizione agostiniana all’interno del pensiero evangelico, i suoi contributi hanno dato luogo a una vivace discussione, stimolando un dibattito interdisciplinare di grande respiro, anche al di fuori dei confini britannici[2].

O’Donovan afferma che «l’etica cristiana dipende dalla resurrezione di Gesù Cristo dai morti» (13). Nel sostenere ciò, non si tratta di isolare la resurrezione dagli altri eventi topici del ministero di Gesù Cristo, né di voler avanzare una proposizione teologica unilaterale. Al contrario, affermare la centralità della resurrezione per l’etica significa individuare un centro intorno a cui ordinare la relazione tra l’annuncio dell’evangelo e la risposta all’annuncio stesso.

Non a caso, la resurrezione (soprattutto nell’interpretazione paolina del rapporto tra «primo» e «ultimo Adamo» di 1 Corinzi 15) è la parola definitiva e finale di Dio sulla sua creatura: la ribellione del primo Adamo che ha portato alla morte è affrontata di petto e invertita dal secondo Adamo che, risorgendo, conduce alla vita. Se il primo Adamo ha condotto il creato alla morte tramite il peccato, l’ultimo Adamo lo conduce a salvezza mediante la sua vittoria sulla morte. La resurrezione è la rivendicazione di Dio sui suoi progetti per il creato che sono stati frustrati dal peccato, ma che non hanno l’ultima parola. Inoltre, la resurrezione è anche un progetto di trasformazione che, a resurrezione di Cristo avvenuta come garanzia, si apre e agisce fino alla resurrezione finale a cui tutti parteciperanno.

Sul piano etico, l’etica del primo Adamo corrisponde all’etica della creazione: il mandato di amministrare il mondo con responsabilità, rispetto della pluralità della vita creata e ricerca del bene comune. L’etica dell’ultimo Adamo è l’etica del regno: la denuncia di ogni idolatria schiavizzante e la pratica della condivisione fraterna.

L’etica della creazione e l’etica del regno non sono alternative. Invece di essere contrapposti o pensati in termini dicotomici, alla luce della resurrezione, l’avvento del regno si salda agli ordinamenti della creazione. Il creato, plasmato dalla potenza creatrice di Dio e dichiarato buono dalla sua Parola, non è una causa persa e non va verso la dissoluzione. Il peccato ha sicuramente introdotto una tragedia di proporzioni immani, ma l’esito non è fatalisticamente nelle mani del peccato. La resurrezione, infatti, richiama l’ordine della creazione che, per quanto decaduto nel peccato, viene ripresentato essendo anch’esso soggetto all’opera di redenzione. A questo proposito, O’Donovan sostiene che «nella resurrezione di Cristo, la creazione è ripristinata (“restored”) e il regno di Dio inaugurato. L’etica che parte da questo punto può a volte enfatizzare la novità, altre volte sottolineare l’originarietà dell’ordine, ma non sarà mai tentata di liquidare o di negare l’uno in nome dell’altra» (15).

Con la resurrezione, l’etica della creazione non è un relitto del passato, così come l’etica del regno non segna una discontinuità radicale. La resurrezione è la cerniera tra l’una e l’altra all’insegna del progresso del disegno salvifico di Dio compiuto in Gesù Cristo. Essa costituisce il quadro vocazionale entro cui l’etica cristiana può dirsi evangelica e può, pertanto, guardarsi dalle forme sempre nuove di moralismo e di antinomismo. L’etica della creazione, infatti, senza la resurrezione rischia di essere scambiata con una moralità astratta tutta basata su principi assoluti, ma poco attenta alla dinamica della storia e alla particolarità dei soggetti. In altre parole, un’etica impositiva e impersonale tutta votata alla sottomissione alla norma morale data. In modo speculare, l’etica del regno, senza la resurrezione, corre il pericolo di essere confusa con un generico orizzonte di rinnovamento privo di intelaiatura normativa e alla mercè di situazioni sempre diverse. La resurrezione, invece, richiama la creazione dallo scadimento dovuto al peccato e la spinge verso il rinnovamento proletticamente verificatosi nella vittoria di Gesù Cristo sulla morte. Sulla scia dell’incarnazione del Figlio di Dio e del suo sacrificio sulla croce, la resurrezione è la riaffermazione in chiave redentiva della creazione che si apre al regno di Dio. L’etica è veramente evangelica se si situa in questo movimento redentivo che intreccia in modo fecondo la creazione e il regno.

Per O’Donovan, il ripristino della creazione non è «il ritorno allo status quo ante» (55) quasi fosse la marcia indietro della storia al giardino d’Eden. La resurrezione indica che la storia ha un suo telos verso cui la creazione tende. L’etica ha senso perché, pur nel caos seguito al peccato, può contare sulla resurrezione che redime la vita e la trasforma verso la consumazione finale. L’etica cristiana guarda sia all’indietro che in avanti («both backwards and forwards», 58), all’origine e alla fine, senza provare imbarazzi per la propria elasticità.

La prima Lettera di Pietro, ad esempio, richiama la speranza escatologica della rivelazione finale di Gesù Cristo, ma allo stesso tempo, esorta al rispetto delle istituzioni della vita umana creata, come il governo, il lavoro, la famiglia (1 Pietro 1,13; 2,13ss.). La prima non incoraggia un radicalismo demolitivo delle strutture della creazione, così come il secondo non esige la piatta conservazione dell’esistente. Lo stesso schema è rintracciabile nel complesso degli scritti del Nuovo Testamento e in Padri come Ireneo di Lione (Adversus Haereses III.8) e Basilio di Cesarea (De Spiritu Sancto 16.38).

La resurrezione ricapitola l’ordine della creazione e lo trasforma in termini redentivi. Anche in questo caso, la contrapposizione tra «progressismo» e «conservazione» perde la sua forza in quanto la resurrezione deve essere compresa come presupposto cristiano che sgonfia le polarizzazioni usuali e invita a pensare alla dinamica tra essere e divenire con categorie diverse. L’etica evangelica incentrata sulla resurrezione si smarca anche dalle etiche storicistiche secondo cui non esiste un ordine del mondo, ma solo un fluire della storia cui le forze della storia contribuiscono, pur essendone influenzate. Pur non ingessando l’ordine della creazione in un idolo soprastorico, l’etica della resurrezione non può che riconoscere la tessitura normativa del mondo che le deriva dall’essere stato creato da un Creatore saggio e provvidente. D’altra parte, visto che spinge verso la trasformazione e il compimento escatologico, l’etica evangelica non legittima le distorsioni intervenute col peccato, ma si pone come istanza critica di tutte le incrostazioni perverse che l’ordine della creazione ha subito nel corso della storia.

Traducendo il discorso in termini politici, l’etica della creazione potrebbe essere paragonata ad una politica di “destra”: si tratta di salvaguardare, ripristinare, conformarsi alla tradizione che ci precede; l’etica del regno potrebbe invece essere paragonata ad una politica di “sinistra”: si tratta di rinnovare, cambiare, superare l’esistente guardando avanti ad un assetto che ancora non c’è.

La resurrezione è la logica interna dell’evangelo che tiene insieme l’archē e il telos, il radicamento della tradizione e l’apertura al compimento. Senza la resurrezione di Gesù Cristo, la politica scade nel ping-pong tra destra e sinistra. Sia l’una che l’altra sono forme sclerotizzate della politica. Alla loro radice, c’è l’elevazione idolatrica di un aspetto della realtà (o l’inizio o la fine) sugli altri. Per prendere a prestito il titolo di un saggio di O’Donovan da cui siamo partiti, questa è la vera «possibilità» dell’etica evangelica. uestaQuQ

Della stessa serie:
“Destra o sinistra? Il (falso) dilemma (anche) evangelico” (27/11/2023)

[1] I numeri tra parentesi si riferiscono a questa edizione. Altre opere rappresentative sono: The Problem of Self-Love in Saint Augustine, New Haven, Yale U.P. 1979; Begotten or Made?, Oxford, Oxford U.P. 1984; The Desire of the Nations, Cambridge, Cambridge U.P. 1996; The Ways of Judgment, Grand Rapids, Eerdmans 2005. Con la moglie Joan Lockwood O’Donovan, ha curato un’antologia di testi del pensiero politico cristiano: From Irenaeus to Grotius: A Sourcebook in Christian Political Thought 100-1625, Grand Rapids, Eerdmans 1999 e un volume di saggi sempre sull’intreccio tra politica e fede cristiana: Bonds of Imperfection. Christian Politics Past and Present, Grand Rapids, Eerdmans 2004.

[2] Cfr., ad esempio, il ricco volume di C. Bartholomew, J. Chaplin, R. Song, A. Wolters (edd.), A Royal Priesthood? The Use of the Bible Ethically and Politically. A Dialogue with Oliver O'Donovan, Carlisle, Paternoster; Grand Rapids, Zondervan 2002.