Il ministero pastorale e il neo-calvinismo. L’ultimo saggio di Tim Keller

 
 

Sembra essere un tempo fecondo per gli studi sul neo-calvinismo. Dopo l’uscita del volume Neo-Calvinism. A Theological Introduction, Bellingham, Lexham Press 2022, gli autori N. Gray Sutanto e Cory Brock hanno curato il T&T Clark Handbook of Neo-Calvinism, London T&T Clark 2024, con quaranta capitoli e più di cinquecento pagine. Questa è solo la punta di un iceberg di studi che stanno fioccando in ogni angolo del mondo. Evidentemente, l’eredità teologica di Abraham Kuyper (1837-1920)e Herman Bavinck (1854-1921), dall’Olanda a cavallo tra Ottocento e Novecento, sta fiorendo in vari campi ad un secolo di distanza dalla loro morte, ben oltre i confini olandesi e le discipline teologiche.

Non è questa la sede per una recensione di questi importanti volumi che, in ogni caso, contribuiscono in maniera decisiva agli studi contemporanei. Tra i capitoli del manuale appena uscito, l’ultimo merita una nota di segnalazione. Primo perché è forse l’ultimo scritto di Tim Keller (1950-2023) prima della scomparsa; secondo perché Keller associa il neo-calvinismo al ministero pastorale, un tema poco esplorato. 

Il capitolo è molto autobiografico. Keller racconta come le letture impattanti dopo la conversione siano state quelle di F. Schaeffer e H. Rookmaaker. Da questi ha imparato due lezioni del neo-calvinismo: “è possibile essere ortodossi e moderni” e “il cristianesimo è una visione del mondo”. Alla facoltà di teologia Gordon-Conwell, poi ha studiato con R. Nicole il manuale di teologia sistematica di L. Berkhof, Systematic Theology. Entrambi seguivano molto da vicino Bavinck. Da questi studi ha imparato altri assiomi del neo-calvinismo: “la grazia restaura la natura”, “esiste sia l’antitesi, sia la grazia comune”, “il cristianesimo unisce testa e cuore”, “tutte le Scritture parlano di Cristo”. Poi, anche con l’aiuto di una tipologia suggerita da G. Marsden, si è reso conto di enfasi diverse nel mondo riformato: una “dottrinalista”, una “culturalista” e una “pietista”, quella neo-calvinista essendo maggiormente associate alla seconda, non escludendo le altre due. A questo punto, Keller scrive molto candidamente: “Sono un neo-calvinista” (p. 502) ma in rete con le altre enfasi del mondo riformato, più con quella pietista/revivalista che non quella dottrinalista. 

Dopo aver intrecciato il rapporto col neo-calvinismo in modo autobiografico, Keller parla dell’esperienza della chiesa Redeemer e di come il neo-calvinismo abbia plasmato la progettualità della chiesa. Sin dalle prime battute, vi è stato un lavoro per stabilire:

  •  un’identità pubblica (a. critica sia al moralismo conservatore che al relativismo liberale; b. combinazione tra evangelizzazione e azione sociale; c. sfida con atteggiamento comunque rispettoso alle visioni del mondo maggioritarie), 

  • un vissuto di comunità (impegno per la verità accompagnata dall’ amore), 

  • una enfasi sulla predicazione cristocentrica (identità non performativa; soluzione alla colpa, vergogna e auto-commiserazione; offerta di libertà; testimonianza di gioia; prospettiva vivibile nella sofferenza; impegno per la giustizia; decostruzione del potere e costruzione di autorevolezza; nutrimento della speranza)

  • una pratica tripartita della testimonianza (testimonianza personale; ministeri di misericordia; integrazione fede-lavoro). 

Keller ricorda che questa postura è stata criticata da destra e da sinistra. Per ambienti conservatori, Redeemer ha svenduto la sostanza del vangelo pur avendone mantenuto le forme. Per i liberali, Redeemer ha mantenuto il nocciolo fondamentalista pur ricoprendolo di zucchero. Questo per dire che non si è mai riparati dal “fuoco amico” e da critiche esterne. Rimane il fatto che un’esperienza significativa dell’evangelicalismo contemporaneo abbia ricevuto dal neo-calvinismo un input non trascurabile anche in ambito ecclesiale.