La politica del vangelo (IV). Pensiero sobrio e responsabilità differenziate
Nel mondo contemporaneo sono quattro le “scatole” che vengono quotidianamente offerte, soprattutto ai giovani. Scatole all’apparenza ricche di tesori, ma che poi si rivelano vuote: libertà, opportunità, autenticità e autonomia. La libertà risulta senza direzione, le opportunità senza convinzione, l’autenticità senza identità, l’autonomia senza compagnia. A parlarne è stato Giuseppe Rizza, commentando Romani 12,3-8, in occasione delle Giornate teologiche dal titolo “La politica del vangelo” tenutesi a Padova l’11 e 12 settembre.
Queste scatole rappresentano la cifra del pensiero comune di oggi, definito da più parti iper-individualista, cioè caratterizzato da un ego schermato, l’interiorità individuale considerata come unico e vero dio, la privatizzazione del significato, una libertà senza limitazioni di sorta e la realizzazione personale come aspirazione principale.
In questo quadro drammatico, in cui all’infanzia iperstrutturata segue un’età adulta piena di vuoti e mancanze, il testo di Romani 12 “s’inserisce con una potenza dirompente”, in quanto fornisce una nuova grammatica per vivere e interpretare la società dei nostri giorni.
Tre sono stati i punti sottolineati.
1. Pensiero sobrio
Il punto di partenza della riflessione riguarda il termine tradotto con “sobrietà”. Il rinnovamento non inizia da un’azione ma da un pensiero rinnovato: non pensare di sé più di quanto si deve pensare. Se si è abituati a stimoli culturali volti a sollecitare l’io sottolineando qualità, diritti e meriti, ecco che quando si pensa a sé stessi si corre il rischio di “pensare oltre”, ossia di ritrovarsi con un pensiero inflazionato, arrogante, gonfio, che si persuade di essere la misura di tutte le cose. Al contrario, l’apostolo esorta i lettori a pensare in modo sobrio, integro. Quel che Paolo sta facendo non è un mero invito alla moderazione, ma ad una trasformazione dell’epistemologia di ciascuno, ossia delle categorie con cui interpretare sé stessi nella realtà.
In termini analitici vi sono tre dimensioni caratterizzanti la sobrietà.
(a) La dimensione cognitiva (umiltà): riconoscere i propri limiti. Si può avere una prospettiva chiara e forte, ma essa non va confusa con il possesso dell’intero. In altre parole, la sobrietà permette di disinnescare l’assolutizzazione dell’ideologia.
(b) La dimensione relazionale. Per l’apostolo, l’identità di ciascuno si compone certamente di un elemento individuale, ma anche – e necessariamente – di una componente relazionale: comprendere sé stessi in relazione all’altro. Un credente può comprendere la propria identità non solo in riferimento a sé, come individuo, ma anche in riferimento al popolo di Dio cui appartiene: c’è una storia prima di me, intorno a me, dopo di me.
(c) La dimensione vocazionale: la misura della fede. Non è un giudizio sul valore del singolo credente, bensì “la metrica di Dio che descrive in modo unico la chiamata di ciascuno”. Dio ha un piano in cui ognuno è specificamente inserito. Si è liberati dalla presunzione, ma anche dall’ansia, di dover fare tutto o di dover pensare a tutto.
Pensare in modo sobrio è la terapia di Dio contro l’arroganza, la deregolamentazione, il disordine della nostra cultura e società. Non si tratta di pensare meno di noi stessi, ma di sviluppare un pensiero sano, integro.
2. Diversità nell’unità
Dopo questo incoraggiamento alla sobrietà, ecco che l’apostolo lo applica alla vita comunitaria. Un pensiero eccessivo o sregolato s’illude della propria autonomia. Il pensiero sobrio, invece, trova misura di sé nella dimensione comunitaria. Ogni credente non è semplicemente membro del corpo di Cristo, ma membro di ciascun’altra membra. In questo senso, l’esistenza è legata a quella dell’altro: non c’è solo il bene personale o l’altrui sofferenza, ma il bene e la sofferenza di entrambi.
Questa comprensione della diversità ha due corollari fondamentali: si è uniti nonostante le differenze (il corpo è uno) e ogni differenza è funzionale all’intero corpo (tante membra). In altre parole, la diversità che distingue i membri del corpo è funzionale alla salute del corpo medesimo. Da qui, discende che i doni che Dio ha fatto a ciascuno sono da intendersi come responsabilità e non come privilegi. Tutto ciò con cui Dio equipaggia è per il bene, per la crescita, per l’edificazione delle altre membra e nessuna membra può presumersi autonomo rispetto alle altre.
Questa è l’“ecclesiologia delle responsabilità differenziate”. Con le sue parole: “Non abbiamo tutti le stesse responsabilità: il pensiero sobrio ci libera dalle tentazioni del confronto e dell’invidia, ci aiuta ad essere fedeli nel nostro compito, grande o piccolo che sia”.
La chiesa non è un ghetto, ma è un’anticipazione del Regno di Dio, una visione che Dio offre al mondo per far comprendere come possa fiorire e prosperare la vita dell’uomo. Le sfide del nostro tempo sono due: la polarizzazione dell’ideologia e l’incapacità di dialogare. Ogni fazione o tribù sociale pensa di sé più di quanto dovrebbe.
Ebbene, in Romani 12 c’è un’alternativa forte: pluralismo fondato su principi, non su mere opinioni. La diversità è un bene e non una minaccia, perché la polis ha bisogno di una pluralità di visioni del mondo per funzionare bene. Lo Stato, ugualmente, deve essere limitato in quanto rappresenta una parte, (o, una sfera, come direbbe A. Kuyper) e non il tutto.
3. Umiltà come virtù civica
Il credente che entra nello spazio pubblico non può vivere come se avesse tutte le risposte, ma deve manifestare la sobrietà nel suo pensiero. Sa che in ogni cosa ha una prospettiva che va condivisa, non imposta, e che necessita del contributo degli altri, perché “il pluralismo cristiano non rinuncia alla verità ma alla coercizione”.
Invece di una massa di individui che delegano tutto allo Stato, la visione di Romani 12 dà un imput vivace e sonoro ad una società composta da cittadini responsabili. Ognuno di noi è chiamato a contribuire al bene comune secondo i propri doni e capacità. Tutto ciò ha grande valore per decostruire ogni idolo, in quanto ogni forma di idolatria è frutto di un pensiero esagerato. Il pensiero sobrio riconosce i limiti della creazione come misura adatta per la fioritura della vita umana.
La sobrietà del pensiero impone di rinunciare alla pretesa della completezza o della correttezza del proprio pensiero, senza per questo contrattare la verità. Tale sobrietà si esprime nella capacità di ascoltare. Infatti, non si ascolta mai veramente qualcuno o qualcosa se si presume che da questo nulla si possa ricevere, e nella capacità di dialogare serenamente, perché solo un’identità matura ha la capacità di rapportarsi ad altre senza scalpore, parossismi o reazioni incontrollate.
Siamo in grado di raccogliere tale sfida?
(continua)
Della stessa serie:
Marco Iotti, “La politica del vangelo (I). Dio e l’autorità” (17/9/2025)
Chiara Lamberti, “La politica del vangelo (II). Cristiani e potere, quale relazione?” (19/9/2025)
Lucia Stelluti, “La politica del vangelo (III). L’intervista al Senatore Lucio Malan” (26/9/2025)