Chiesa al centro (IV). Movimento: chiese che creano reti
Vangelo e città sono i primi due assi su cui ruota il libro di Tim Keller Chiesa al centro, Torino, La Casa della Bibbia 2025. Ma che succede se le chiese vivono questi aspetti come istituzioni rigide legate a vecchie tradizioni o, di contro, senza nessuna forma di organizzazione?
Per Keller la chiesa è sia un’istituzione stabile con tradizioni ereditate, sia un movimento dinamico dello Spirito Santo in cui con equilibrio e cooperazione si collabora per raggiungere la città con il vangelo. L’irrigidimento istituzionale o la fluidità disorganizzata sono i due estremi da evitare. Su questa riflessione si innesta il concetto di movimento che è il terzo asse della proposta ecclesiologica dell’autore.
Cosa vuol dire? Per Keller, vivere l’appartenenza alla chiesa significa essere dedicati alla chiesa locale e ad una rete di chiese, iniziative, reti evangeliche, ecc. in grado di collaborare per raggiungere e servire la propria città. I disaccordi secondari non possono e non devono essere elevati al punto da impedire la collaborazione.
Dalla fine degli anni ’90 nel mondo evangelicale la parola missionale è divenuta popolare per sottolineare questa apertura a pensare la testimonianza in termini di movimento. Le chiese, soprattutto nell’Occidente post-cristiano, devono essere comunità controculturali che, pur concentrandosi sul raggiungimento delle persone e della cultura intorno, non perdano il vangelo biblico annunciato e predicato come proprio centro.
Il primo passo da fare è quello di prendere posizione contro gli idoli della società e sostenere tutti i credenti come se fossero missionari negli ambiti vocazionali in cui sono inseriti. La chiesa deve intendere sé stessa come comunità di servizio controculturale per il bene comune.
Punto centrale di una chiesa missionale è l’attenzione alla formazione di ogni credente alla vita intesa come missione. I credenti devono essere spronati alla formazione teologica e quindi a vivere le loro vocazioni con integrità, generosità, mostrando ospitalità, empatia, perdono ed equità nelle relazioni quotidiane. Il concetto può suonare quasi banale, ma per Keller è fondamentale: ogni credente dovrebbe essere coinvolto nella vita sociale, vivendolo in maniera profondamente diverso dalle persone intorno a sé.
Secondo Keller anche le tradizioni liturgiche e le scelte che le chiese adottano per i propri culti devono essere ripensate alla luce della missionalità. I culti non dovrebbero essere comprensibili solo ai membri di chiesa. L’adorazione comunitaria dovrebbe trovare il suo equilibrio nell’essere di edificazione per i credenti e di stimolo per i simpatizzanti a continuare il processo di conoscenza del Dio della Bibbia.
In ultimo, la chiesa non dovrebbe mai agire come comunità aliena dal contesto in cui vive. Attuare attività diaconali di servizio ai poveri e svantaggiati significa entrare in contatto con il contesto, comprenderlo, capirne i bisogni e rispondere con attività pratiche che fungono da testimonianza e che danno anche slancio alla vita della chiesa.
Perché secondo Keller questo modo di comprendere la chiesa ha bisogno di essere incentivato da una dinamica di movimento? Le chiese sono organismi organizzati e guai se non lo fossero, ma se la chiesa locale resta fossilizzata in sé stessa non sarà in grado di nutrire una visione all’altezza del vangelo. L’unità evangelica permette di cercare una cooperazione trasversale anche con altre realtà del territorio.
Le dinamiche di movimento dovrebbero avere la fondazione di chiesa come sviluppo naturale. Nonostante la fondazione di nuove chiese sia la pratica neotestamentaria più riportata, per le chiese contemporanee resta una visione difficile da fare propria. La visione di fondare nuove chiese infatti richiede disponibilità nel donare risorse sia in termini economici che di membri di chiesa.
Nonostante le grandi sfide che comporta, fondare nuove chiese è il modo migliore per accrescere il numero di credenti in città e per rinnovare l’intero corpo di Cristo.
Questa visione richiede l’attivazione di ministeri che si integrano con la vita, i bisogni e la cultura della città e che coinvolgano i credenti attraverso le vocazioni individuali vissute nell’ottica della visione condivisa.
Nessuna chiesa locale, nessuna denominazione, nessun raggruppamento evangelico è sufficiente a sé stesso e alla crescita della testimonianza dell’evangelo. Tutti sono necessari e portano un contributo significativo, ma solo un movimento che crea un eco-sistema del vangelo può ambire a coltivare una visione che non sia la mera sopravvivenza. Il movimento a cui Keller accenna coniuga l’appartenenza alla chiesa/denominazione particolare all’unità evangelica che permette la collaborazione trasversale in vista di un impatto nelle comunità locali e nelle città.
Anche per questo motivo, un volume come Chiesa al centro è importante per l’Italia evangelica.
Della stessa serie:
“Chiesa al centro (I). Il Vangelo che trasforma tutte le narrazioni culturali” (22/8/2025)
“Chiesa al centro (II). Necessità e rischi della contestualizzazione” (29/8/2025)
“Chiesa al centro (III). L’evangelo è per la città” (5/9/2025)